
Fare un pagliaio è un arte, ma forse sarebbe meglio dire era un arte. C’era sempre uno, il maestro, che dirigeva i lavori, coadiuvato da un manipolo di lavoranti, che aspiravano un giorno d’essere al comando dell’impresa. Il pagliaio doveva venir su, crescere uniformemente, ben pressato, intorno al palo, il mitulo era la spina dorsale della struttura circolare. Questa era tonda e un po’ panciuta, per finire con una coperture spiovente, una specie di tetto che doveva far defluire il più possibile l’acqua piovana; la paglia non doveva marcire.
Il lavoro era duro e quelle che vedete in molte delle fotografie non sono graffiature nella pellicola: la paglia che cadeva dall’alto sugli artificieri creava un turbinio di pagliuzze e di pula. Era difficile respirare e la gola era sempre secca; per questa non mancavano frequenti bicchieri di vino, per dar coraggio!
Questa trebbiatura al Castello di Sorci fu organizzata con scopo di beneficenza e la festa del pagliaio finito, con tanto di tricolore al vento, culminò con la cena tradizionale nell’aia, tagliatelle col sugo d’oca.
La protagonista era la trebbiatrice, mi pare che dalle nostre parti la chiamassero anche trebbia. Poi arrivava il trattore, moderno ed autosufficiente: non aveva bisogno d’essere trainato come le macchine a vapore. In questo caso un Super Landini.

Allacciare le lunghe cinghie che permettevano di operare tutto il meccanismo interno che avrebbe separato i chicchi di grano era un’operazione delicata, da esperti. Una cinghia che d’improvviso si sganciava poteva essere molto pericolosa a chi le era vicina. Ho ancora la livella che mio nonno usava per mettere la macchina a vapore in piano; lui era stato macchinista ai tempi quando le macchine era ancora a vapore.
Finalmente tutto è tutto pronto ed al grido:
“Manne!” Si cominciava il lavoro, Ognuna sapeva dove posizionarsi, e fare la sua parte, importante essere coordinati. Quando i primi chicchi di grano cominciavano a cadere nei sacchi bianchi appesi nel dietro della trebbiatrice era il trionfo d’un anno di duro lavoro. Una volta il grano veniva misurato con lo staio, una antica unità di misura. Spesso si identificava un podere con la quantità di staia che produceva



Il buon pane è quello di farina di grano, il pane è sacro.





Per finire la bandiera in cima al mitulo.
E dopo tutta questa serie di foto, non ne scattai una del pagliaio finito. Imperdonabile! Se fossi stato un reporter per una rivista mi sarei giocato il posto. Compromesso: immagine dell’anno prima (1987) al festa della trebbiatura a Gricignano.

La storia della battitura non è finita, conto su VOI tutti per arricchire la storia con le vostre esperienze, commenti e soprattutto i nomi dei protagonisti dell’impresa che non ho identificato.
Fausto Braganti
Marblehead, 27 ottobre 2016
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1 commento su “001 1988-07 Anghiari, Castello di Sorci, la trebbiatura”