Il 4 luglio del 1970 era un sabato ed ero al Borgo con Nancy in attesa del mio visto per andare negli Stati Uniti. Eravamo arrivati da Londra solo due settimane prima. I giorni passavano lenti ed ero un po’ nervoso di fronte al grande enigma di quella che sarebbe stata la mia nuova vita. Aspettavo una telefonata che non arrivava dal consolato americano di Genova. Ma questa è un’altra storia.
La Sig.na P., una anziana amica del babbo, abitava in un palazzo antico che odorava di vecchio, assieme ai suoi ricordi e a una dama di compagnia che non era una badante. Era laureata in giurisprudenza, ma ormai era in pensione da anni, rimaneva quasi sempre in casa, solo qualche breve visita all Caffe di Gerasmo. Si diceva che avesse un fornitissima biblioteca con libri raccolti dal padre, anche lui avvocato; poi anche lei aveva contribuito ad arricchirla. Il babbo diceva che era una donna intelligente, istruita e una buona scrittrice, l’unico problema era, continuava a dire:
“Se ti blocca per la via e ti comincia a parlare sei finito, ti prende prigioniero e non è facile sgancirsi, anzi a volte è un impresa impossibile.”
Dopo la morte di mio padre in qualche modo io l’avevo sostituito nell’amicizia e quando la Sig.na P. scopriva che mi trovavo al Borgo, mi telefonava. Le sue telefonate erano chilometriche, mia madre mi portava la sedia nel corridoio. C’era un lato positivo: parlava con arguzia quasi sembre di argomenti interessanti, di politica, di costume e sopratutto di memorie. Spesso mi confermava che avevo fatto benissimo ad andarmene dal Borgo. E si lamentava di non averlo fatto anche lei, quando era giovane. Lei era rimasta prigioniera.
“Mio padre” aggiungeva “uomo moderno, un vero positivista, di ampie vedute; infatti all’inizio del secolo mi aveva mandato all’universitá quando pochissime donne ci andavano. Ma poi nella vita privata, in famiglia, mi teneva prigioniera come fossimo nel medioevo.”
Fu felicissima quando apprese che mi ero sposato con un’americana e che mi stavo preparando per trasferirmi negli gli Stati Uniti, lei c’era stata negli anni trenta.
Proprio in quei giorni ricevemmo un formale invito per andare a prendere il te da lei. Voleva conoscere Nancy e, come diceva lei, sperava di parlare un po’ d’inglese, prima che se lo dimenticasse:
“Il mio inglese si sta arrugginendo.”
Arrivò il pomeriggio del 4 luglio e con un bel mazzo di fiori ci presentammo alla sua porta all’ora convenuta. La sua dama di compagnia ci venne ad aprire, pareva sospettosa anche se la conoscevo bene. Salimmo la vecchia scala dai grandi gradini di pietra levigata da secoli di passi. La casa era fresca e aveva quel leggero odore d’antico, cosi tipico, che sa un po’ di muffa, un odore che non si dimentica mai. Poi, dopo un corridoio, entrammo nel salotto strapieno di mobili dove, seduta in una poltrona, lei ci attendeva. Ed ecco la sorpresa. La stanza era tutto decorata con festoni di carta rosso e blu che si incrociavano dal soffito sul lampadario. Poi c’erano nastri, fiocchi degli stessi colori un po’ dappertutto.
Nancy ed io fummo sorpresi per dir poco.
“Happy 4th of July!” Esclamò felice venendoci incontro e abbracciandoci affettuosamente.
“This is great day! Not only for the United Sates, but for all of us! I want to celebrate with you. And you are a real American!” rivolgendosi a mia moglie.
Nancy fu forse anche più sorpresa di me. Lei, americana, non si era ricordata che fosse il 4 luglio, e ora, proprio a Sansepolcro c’era chi aveva colmato la lacuna.
Negli Stati Uniti ci sono due grandi feste, chiamiamole intimamente americane, “The 4th of July” e “Thanksgiving”, ma io questo ancora non lo sapevo e tanto meno ne capivo l’importanza. Anche se son nate con una connotazione politica-religiosa, in realtá son feste da celebrare e passare in famiglia, e sempre con gran mangiate.
Il tè fu servito e la Sig.na P. continuò a parlare solo in Inglese e non solo per far pratica ma anche perchè la sua dama non lo capiva. E così, senza gran preamboli, ci raccontò la storia del suo grande amore.
Durante la Grande Guerra, poco più che ventenne, era partita volontaria come infermiera. In questo modo aveva rotto almeno per un po’ l’oppressiva tutela del babbo. Il suo ospedale non lontano dal fronte era vicino a un aereoporto, da dove si levavano in continuazione gli aerei che partivano per le loro pericolose missioni. Erano quegli arei dall’elica di legno e dalle ali di tela con il pilota seduto nel miniabitacolo scoperto. E fu proprio li che lei incontrò l’amore della sua vita, un pilota americano, bello, alto e biondo, come volle precisare. Quello fu un grande amore, pieno di passione, esasperato perchè in ogni incontro c’era la paura che potesse essere l’ultimo.
Lei conosceva i colori del suo aereo e lo seguiva con ansia ogni volta che lo vedeva decollare per poi sparire nel cielo per compiere una missione. Il panico l’assaliva: sarebbe ritornato? Poi rivedeva quei colori ritornare e lei era infinitamente felice.
“La paura della morte rafforza l’amore e la passione come nient’altro!”
Nel raccontarci la storia lei lo chiamava per nome, ma questo l’ho dimenticato.
Poi venne the 4th of July, forse del 1918, e il nostro eroe prima di partire le chiese di aspettarlo al ritorno, se le fosse stato possibile nello spiazzo nel davanti dell’ospedale. E lei l’attese con ansia. Riconobbe l’aereo da lontano e fu pervasa da tanta felicitá:
“Era vivo, era vivo!”
L’aereo non si diresse verso la pista d’atterraggio ma verso l’ospedale, verso di lei, in piedi nel mezzo del piazzale. Fece dei giri a spirale concentrici cercando d’abbassarsi il più possibile e poi infine, quando lei poteva vederlo benissimo si protese fuori dell’abitacolo e le lanciò un mazzo di rose rosse, legate con un nastro blu. Mi son sempre domandato, ma dove l’aveva trovate?
La sua voce tremava nel raccontarci la storia e potevo vedere che Nancy era commassa e lo ero anch’io.
E la guerra finì, e l’eroe tornò in America e lei al Borgo, l’ufficio legale della Buitoni. Lui, e lei lo sapeva, era giá fidanzato negli Stati Uniti e dopo non molto si sposò. Rimasero in corrispondenza e circa dopo vent’anni lei andò in America per incontrarlo. Ci parlò molto degli Stati Uniti di prima della guerra, del suo viaggio in aereo all’interno del paese, ma non ci disse molto dell’incontro.
Lei non si sposò mai, poi comparve la dama di compagnia.
Arrivò la Seconda Guerra Mondiale anche al Borgo. E con questa arrivarono gli Americani ed un giorno nel settembre del 1944 un colonnello dell’American Air Force si presentò alla sua porta: era lui. E quella fu l’ultima volta che lo vide. Non ci diede dettagli di quest’incontro, solo che rimase alcuni giorni,
Dopo la morte della moglie il vecchio pilota confessò alla figlia questo suo grande amore perduto e questa a sua volta volle conoscere, almeno per lettera, la Sig.na P. Nel 1970, al tempo di questa storia, queste due ancora si scrivevano, molti anni dopo la morte di lui.
Alla fine per noi venne l’ora d’andare e lei mi regalò un orario della NorthWest Airline del giugno del 1938, reliquia di quel suo lontano epico viaggio. Quando fummo sulla porta prese Nancy per un braccio e la trattenne per un po’ parlandole sottovoce.
Quando fummo per strada Nancy mi disse che le aveva mostrato una foto del suo grande amore, tirandola fuori da un libro che teneva sottobraccio. Era proprio come un pilota della Prima Guerra Mondiale doveva essere: in piedi, alto e fiero accanto al suo aereo dall’elica di legno, con grandi stivali, pantaloni a sbuffo, il casco di cuoio e gli occhialoni tirati su sulla fronte e una gran sciarpa bianca intorno al collo.
“L’amore vero dura tutta la vita!” le aveva sussurrato prima di lasciarla.
Non so perchè a me non la fece vedere, forse era stata timida con me.
La rividi poc’anni dopo, forse nel 1973, durante un mio breve viaggio a Sansepolcro; le feci una breve visita, era molto malata, non mi disse molto, aveva difficoltá a respirare, a parlare. Mi consegnò una lettera per la figlia del pilota, voleva che l’imbucassi io in America. Non si fideva delle poste italiane, voleva esser sicura che le arrivasse, sapeva che era l’ultima che le mandava. Appresi poi che morì poco tempo dopo.
Ecco come celebrai per la prima volta the 4th of July e lo feci al Borgo.
Ogni anno immacabilmente secondo le tradizioni facciamo un barbacue e beviamo birra e in serata andiamo a vedere i fuochi d’artificio che si illuminano sul porto di Marblehead pienissimo di barche. In fondo è una gran festa, l’eco di quella Dichiarazione d’Indipendenza col tempo, con la Rivoluzione Francese e con tutte le sue consequenze arrivò fin da noi al Borgo e ci ha indicato il valore della libertá.
Ogni anno penso alla Sig.na P., al suo pilota di cui ho dimentica il nome e a quel gran mazzo di rose rosse che scende dal cielo e i miei occhi si caricano di lacrime che poi non calano.
“Happy 4th of July, Signorina P.!”
Fausto Braganti
Marblehead, 30 giugno 2017
Ho finito di scrivere un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus” La storia si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Ora sto cercando di pubblicarlo, cerco un agente letterario e un editore. Sembra proprio che nessuno sia interessato. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei noi nostri eroi, questo è il link al mio blog:
https://faustobraganti.wordpress.com/
Il mio blog di memorie M’Arcordo… www.biturgus.com/
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro.
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