Queste sono fotografie di eventi e luoghi inerenti Sansepolcro e tutta la Val Tiberina. La maggior parte vengono dal mio archivio fotografico. Quando le immagino non son le mie, per quanto mi sara’ possibile, indichero’ l’autore o la sorgente.
4 ottobre 1952 foto ricordo, il Sor Marco Buitoni e i suoi collaboratori.
Bella e tipica fotografia di gruppo; il gran capo circondato da tutti i suoi collaboratori, sono loro che hanno reso possibile il successo della compagnia. Il gran capo lo sa, e coerente al suo stile paternalistico, ha riunito tutti per condividere, celebrare un evento, un evento del tutto personale.
“… la mia venuta a Sansepolcro.”
Infatti lui non era di Sansepolcro, era perugino.
Chiamarono un fotografo, purtroppo non ho qui l’originale per vedere chi fosse. Di certo venne con una gran macchina fotografica col soffietto nero, montata su un treppiedi e lui si nascose sotto un panno nero e premette la peretta. Probabilmente aveva con se un assistente per mettere tutta quella gente in posa, penso siano un’ottantina.
Diciamo che la famiglia Buitoni, come tante grandi famiglie, ha una storia complicata. A parte il fatto che ne so ben poco e quello che ricordo mi è stato raccontato, io non posso di certo narrarvela. L’hanno già fatto altri. Diciamo che mi limito a un giorno, il 4 ottobre 1952, era un sabato, forse c’era meno da fare e la Silvia (accovacciata sotto il Sor Gherardo) ha lasciato il centralino, e quello che era successo 25 anni prima, nel 1927, il giorno che il Sor Marco arrivò a Sansepolcro.
Il 1927 fu per i Buitoni di Sansepolcro un anno difficile, per alcuni tragico. Un tracollo economico portò quasi alla chiusura dello stabilimento. La famiglia a quel tempo si era già divisa in due rami, quelli di Sansepolcro e quelli di Perugia, che lavoravano e cooperavano in parallelo. I quel momento difficile che poteva finire in una catastrofe generale i “perugini” presero il sopravvento e spedirono Marco, uno dei 5 fratelli, a Sansepolcro, aveva 33 anni, a prendere le redini dello stabilimento. Il tempo e gli eventi provarono che Marco era stato all’altezza della situazione, la Buitoni iniziò un nuovo gran periodo di successo e di gloria e la ripresa dopo la guerra disastrosa fu un’ulteriore prova del buon lavoro.
Ecco, penso che quel giorno il Sor Marco volle quella foto come per provare a se stesso, “ecco ce l’ho fatta”, e non ha dimenticato chi lo ha aiutato a raggiungere il successo.
A proposito della foto: Il Sor Marco è al centro che guarda direttamente al fotografo, alla sua sinistra un signore con gli occhiali neri con lo sguardo verso il basso, questo è Sor Gherardo, l’unico sopravvissuto all’ecatombe dei Buitoni di Sansepolcro nel 1927, non so come fece a mantenere la sua parte di potere. Alla destra del Sor Marco c’è un signore alto di profilo, penso che sia uno dei fratelli, forse Luigi di Perugia?
Da notare che la gran scala monumentale sembra a buon punto ma i lavori non sono finiti, ancora il busto bronzeo di Giovanni Buitoni non è al suo posto.
Voglio anche pensare al Sor Marco che scrive una dedica personale in ogni fotografia, usando una bella penna stilografica e una segretaria che lo aiuta stendendole sopra una gran tavola, l’inchiostro si deve asciugare.
Quanti cassetti a Sansepolcro hanno ancora questa foto?
Per finire, i tempi cambiano, immaginate il Sor Marco con un telefonino in mano che grida “Sorridete!!” e cerca di far entrare un’ottantine di persone in un selfie.
Fausto Braganti,
ftbraganti@verizon.net
29 settembre 2020 ancora a Tuchan nelle Corbieres.
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Ma che ci voleva la ricetta del dottore per comprare questa bottiglia di cognac?
cognac medicinale Stock
C’era una volta una distilleria… Infatti a Sansepolcro, lungo il Viale della Stazione, sulla destra vicino al Bertuzzi laterizi, di fronte al collegio “Regina Elena” c’era una distilleria, si chiamava UVA (Utilizzazione Vinacce Alcoliche), proprietà della famiglia Marzani d’Arezzo. Nel 1939 fu venduta alla Stock di Trieste, famosi per la produzione di cognac, ma poi dovettero cambiargli nome e divenne brandy.
Gli Stock ebrei, approfittando di questo loro legame con Sansepolcro, nel 1943 inviarono alcuni congiunti a Sansepolcro presso Pietro Lucernesi, responsabile tecnico della distilleria. Fu così che arrivò Emma Stock, tuttavia per maggiore sicurezza la signora 75enne fu sistemata presso la parrocchia del Trebbio in casa del parroco, Don Duilio Mengozzi che la fece passare per sua madre. Don Mengozzi buon cattolico fu adottato da un’ebrea. I tedeschi avevano insediato al Trebbio il loro comando e non se ne accorsero, neanche quando fu proprio lei, che parlava tedesco, a portare una bottiglia di vino ad un soldato ubriaco venuto a cercarlo in canonica.
Lo stato d’Israele conferì a Don Mengozzi il titolo di “Giusto fra le Nazioni” alla memoria.
Io ricordo bene la distilleria fino agli anni ’50. Il mi’ babbo conosceva bene il direttore, il sig. Magni, e spesso quando si incontravano si fermavano a chiacchierare.
Non so cosa facessero in questa distilleria, so che raccoglievano il mosto da tutte le zone limitrofe. Infatti passandoci vicino, si sentiva un forte ed acre odore di mosto; mi domando se i vicini si lamentassero, ma poi ripesandoci a quei tempi, parlo del dopoguerra, non c’erano molti vicini da quelle parti ma solo campi. Forse distillavano alcool ad alta gradazione per poi riutilizzarlo per fare liquori, di certo veniva tutto spedito a Trieste.
Parliamo della famosa bottiglia, un vero reperto archeologico, di certo partita da Trieste, che miracolosamente è sopravvissuta per almeno 75 anni. Tanto tempo fa il sig. Magni regalò a Nello questa bottiglia di cognac medicinale quando era già vecchia; ho controllato quest’oggi, Nello non l’ha aperta penso che sia meglio che non lo faccia, dopo tutti questi anni la prospettiva che sia ancora buona è molto debole.
Il sigillo con la croce di Savoia conferma che la bottiglia è precedente al 1946. Il prodotto viene definito “cognac”. Poi i tempi son cambiati, la guerra contro la Francia è stata dimenticata e gli accordi internazionali per le denominazioni d’origine controllata sono stati implementati e in Italia non si producono più cognac o champagne. Il cognac diventa brandy, infatti così me lo ricordo: brandy Stock. In quella etichetta a mo’ di scudo sul collo della bottiglia si leggono quattro lettere misteriose, sembrano una sigla massonica, VSOP Very Superior Old Pale, che indica un invecchiamento nel barile superiore ai quattro anni. Poi ci sono quelli che danno a questo acronimo un significato differente, con tante buone intenzioni verso il prossimo, Versez Sans Oublier Personne. Ma poi perché lo chiamavano medicinale? Forse per dargli uno giustificativo, come per dire: “ma l’ha ordinato il dottore!”
E con questo finisco, ringrazio Nello per aver salvato la bottiglia che mi ha permesso di fare un viaggio nel tempo, purtroppo ‘sta sera non ho nessun brandy Stock per consolare il mio sfollamento, mi rifarò con un whisky.
Salute a tutti cari amici, e Forza e Coraggio, sempre!
2 aprile 2020
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres.
ftbraganti@verizon.net
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Sansepolcro 1 aprile 2018, porta Fiorentina vista dalla Via Maestra. entro le mura.
A suo tempo abbiamo calorosamente celebrato gli eroici arditi che fecero l’impresa, e son passati due anni da quel memorabile primo aprile. Mi reputo fortunato, infatti io, che abito lontano e che in genere vengo al Borgo solo un paio di settimane all’anno, mi ritrovai a passare per caso proprio davanti Porta Fiorentina, era la domenica mattina di Pasqua.
Si, io ho visto la porta, maestosa, in tutta la sua effimera gloria. Peccato!
Sapete il resto della storia e non c’è bisogno che ve l’ardica.
Dopo tante foto scattate dall’esterno entrai e scattai questa dall’interno. Oggi l’ho rivista e mi ha fatto pensare. Proprio in questi giorni di isolamento ho provato differenti emozioni, la prima è che tutto mi pare così lontano, come se due anni fossero un secolo. Tutto è nuovo e cerchiamo di imparare, quando poi non possiamo far altro che cercare di sopravvivere.
Vi scrivo da sfollato, son lontano a Tuchan, per l’esattezza a 995 km dal Borgo. In questo momento vedo la luce d’un pallido sole illuminare le montagne rocciose di rimpettaio alla mia casa, dall’altro lato della valle nella Corbieres, terra dei corvi come la chiamarono i Romani più di 2000 anni fa. I Romani erano gran girelloni.
Le porte chiuse servono per proteggerci dai nemici all’esterno, ma anche per impedire a quelli che sono dentro a sortire. In queste ultime settimane ci siamo auto imprigionati per difenderci. Vediamo la porta, tutte le porte, dal di dentro.
Verrà il giorno, e siamo tutti in fremente attesa e pieni di speranze che sia in un prossimo futuro, riapriremo quella porta. Correremo felici cantando a squarciagola o cauti ci guarderemo da ogni lato prima di fare il primo timido passo?
E cosa ritroveremo fuori della porta? Questa è l’incognita.
Noi stessi saremo differenti e non sappiamo in qual modo e di quanto. Anche i più semplici rapporti umani, sociali, saranno cauti, circospetti; smetteremo di stringerci la mano? Forse ci saluteremo come i giapponesi con un semplice leggero inchino? O forse come gli indiani, le mani a mo’ di preghiera e un semplice ”namaste”.
In uno dei suoi primi lavori teatrali Bertold Brecht narra la storia d’un soldato che dopo 4 anni ritorna dalla guerra; trova Berlino (1918) intatta, nessun segno del conflitto, nessuna bomba è caduta sulla città, le trincee erano lontane. In quella pace illusoria crede di ritrovare tutto come prima, come il giorno che è partito. La sua è solo un’illusione, tutto è cambiato e non c’è più posto per lui.
Apriremo quella porta, ma quando? e usciremo ma non tutti e poi cosa troveremo?
Voglio sperare che saremo più realistici del soldato e saremo pronti a superare tutto l’imprevisto, ce l’anno fatta i nostri genitori dopo la guerra, ce l’anno fatto i nostri nonni dopo quell’altra.
Non sarà facile, ma ce la faremo. Forza e Coraggio, sempre uniti.
1 aprile 2020
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres.
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Forse ci sono stati dei casi nella storia di Sansepolcro in cui le Fiere di Mezzaquaresima furono cancellate. Io non ne ho memoria, neanche nel 1944, il fronte era ancora lontano.
Furono cancellate per la peste del 1348? Forse.
Le Fiere dei Fichi Secchi, come ancora le chiamava il mi’ nonno Barbino, sono antiche, molto antiche. Ricordo che il nostro professore di storia Ugolini, avvocato e sindaco, ci diceva che forse la ragione della fondazione di Sansepolcro era dovuta proprio alle fiere; il paese era nato ad un crocevia di commercio. I romagnoli venivano a vendere i fichi secchi che acquisivano dai mercanti arabi. Ecco perché dall’altra parte dell’Appennino c’è Mercato Saraceno.
Non voglio aggiungere ulteriori note di tristezza e di paura alla preoccupazione generale, ce n’è già abbastanza, anche qui a Tuchan dans le Corbieres, dans la France profonde dove sono sfollato.
Pascale ed io siamo ben forniti, pasta, biscotti, fagioli, ceci, cuscus, tonno, sardine, molti surgelati ecc. Non mancano il whisky e il vino; la Cave de Mont Tauch, è a meno di cento metri, potrei ordinare un ettolitro di Fitou (rosso) senza problemi.
E non preoccupatevi, la nostra scorta di carta igienica dovrebbe bastare per un bel po’ di tempo e poi abbiamo il bidet.
Spesso si dice che immancabilmente per le Fiere piove, ecco questa mia foto è la prova del contrario, quelle del 2009 furono assolate.
Questa la fontana in piazza dove misi di nascosto i pesci rossi, non fu una buona idea, specie per i pesci.
Ecco il banco dei fichi secchi, il venditore era un romagnolo, ma non credo che si fosse rifornito dai pirati saraceni. A questo punto il nostro pensiero va alla memoria del caro Gilberto Gilberti a noi noto come Mangiamesse, lui era il vero re dei fichi secchi.
banco dei fichi secchi
Questi sono vari M’arcordo… sulle Fiere di Mezzaquaresima.
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres, 27 marzo 2020
ftbraganti@verizon.net
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
La nube che calò su Monterchi nel 1630 fu molto più scura di quella della foto, quell’anno arrivò una pesta virulenta e fu un’ecatombe. Manzoni ce la racconta nei Promessi Sposi, Renzo e Lucia sopravvivono e Don Rodrigo, il cattivone, soccombe al morbo e noi tutti ne gioiamo.
<<…quando Meola di Antonio, detto Buffone, giunge a Lippiano con certo Borbone “dove era andata per puttana”, e viene immediatamente rinchiusa nel lazzaretto con il suo accompagnatore non appena si approssima alle mura ed è portata dalle guardie.
Anche a Poppi, Bibbiena, Marcera, ed altre località del vicino Casentinosono bandite dai traffici per sospetto di peste e diviene problematico dalla valle del Tevere recarsi a Firenze, Pisa o Livorno, visto che ordinaria è bandita al transito dall’11 giugno 1631; perciò i viandanti sono costretti ad un lungo giro per Pratomagno e il Casentino, senza toccare Arezzo, allungando il cammino di circa 30 miglia. Notizie allarmanti giungono continuamente: dal Borgo si parla di 30 morti, decessi che però sono ufficialmente attribuiti a febbri maligne per evitare il bando della città per peste; a Monterchi l’abbrutimento del male e la tragicità della situazione “hanno ridotto quel luogo una Babilonia”, al punto che il Granduca decide di intervenire comandando al Bargello del Casentino di trasferirsi a Monterchi con 8 sbirri “per reprimere la lussuria e la sfacciataggine di quei villani” >>
Questo è un breve estratto dal libro “Potere e nobiltà nell’Italia minore tra XVI e XVII Secolo, I Taglieschi d’Anghiari” del professore Tommaso Fanfani (1943-2011) pubblicato nel 1983. Il capitolo dedicato alla peste del 1630-31 è molto interessante e dettagliato su come si cercò di arginare il morbo.
Masino, come lo chiamavo io, era una amico e fu anche mio compagno di camera ai tempi dell’università negli anni 60. Fu lui che mi diede una copia di questa sua pubblicazione. Mi colpì molto la storia dei Monterchiesi che decimati dal morbo decisero di vivere pienamente quegli ultimi giorni, si chiusero dentro il paese, fecero con gran baldoria, una Babilonia ebbra e lussuriosa, orgia generale.
E che fine avrà la povera Meola che era andata a Lippiano per puttana? Se non era ancora malata il lazzaretto era il luogo giusto per il contagio.
Rileggendo il capitolo della paste di questo libro del Fanfani si capisce che il morbo prende un po’ tutti, ma è particolarmente virulento fra i poveri e miserabili, di ricchi ben nutriti ne muoiono meno.
Marblehead 1 Marzo 2020
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Questa mattina ho letto con piacere l’intervento di Donatella Zanchi che ci ha ricordato quel bellissimo regalo di Natale che noi Borghesi ricevemmo 65 anni fa, il ritrovamento dell’affresco perduto. Le date non collimano esattamente, ma siamo abbastanza vicini, 14 o 23 dicembre?
Tempo addietro scrissi un M’Arcordo… questo non fu pubblicato nel mio libro, infatti lo scrissi dopo.
Ve lo ripropongo, forse ci son quello che non lo lessero.
141 M’Arcordo… quando il San Giuliano era ancora un angelo
San Giuliano di Piero della Francesca, riscoperto nel 1954
Quando riscoprirono l’affresco perduto di Piero della Francesca io ero alle Medie. L’effetto della notizia portò un entusiasmo generale e sembrava che tutti a Sansepolcro se ne sentissero orgogliosi. Quell’angelo, come venne chiamato all’inizio, doveva essere solo una prima scoperta, sotto quegli intonaci ci doveva esser ben altro, ma purtroppo le aspettative furono deluse.
Accontentiamoci del San Giuliano e non è poco. Ma con tutta la miriadi di santi che ci sono come fecero a stabilire che questo fosse proprio San Giuliano? Ma che c’è scritto da qualche parte? Se qualcuno lo sa ce lo dica.
Questo è davvero un M’Arcordo… intercontinentale. Fra Marblehead e Singapore ci sono 12 ore di differenza. Io sono 6 ore più giovane e Francesco Pasquetti è 6 ore più vecchio di quelli con son rimasti a Sansepolcro, esattamente a mezzavia.
Io dopo cena bevo il mio whisky, me l’ha ordinato il dottore, mentre lui si fa il caffelatte mattutino. Le parti si invertono dopo 12 ore, solo che la sua collezione di whiskey è più ricca della mia. Devo andare a trovarlo.
Una mattina, ma forse era una sera, durante una delle nostre chiacchierate, me so’ arcordato d’un episodio lontano, un po’ confuso nella mia memoria, e gli ho chiesto:
“Francesco ma chi era quello che vide il San Giuliano di Piero alla Filarmonica? Era il tu’ babbo o il tu’ zio?”
“Era il mi’ zio Ivo.”
“Ma com’è la storia?”
“Anni fa lo zio la scrisse, la cerco e me la faccio mandare dal Borgo e te la passo. The Pasquetti Connection! Grazie anche al mi’ cugino Giulio.”
“Benissimo, la voglio pubblicare.”
E così dopo un paio di giorni questa testimonianza di Ivo Pasquetti, dall’inconfondibile profilo pierfrancescano, mi è arrivata, rimbalzando dall’Europa in America, via Asia.
Questa fu pubblicata in un libro: “Una Piazza, una Città, il Sentimento del Tempo” del 1988, una raccolta di memorie di gente che era cresciuta e vissuto attorno alla fontana di Piazza Santa Chiara.
Ivo Pasquetti 1949
UN AVVENIMENTO MEMORABILE
Una cosa così non capita spesso, anche se il nostro quartiere in quasi otto secoli, ne ha visti di fatti da tenersi a mente.
Verso le due del pomeriggio del 14 dicembre 1954, tornavo da scuola e, affamato, mi dirigevo a casa per mangiare. Abitavo nell’edificio posto al n. 10 di Via S. Croce, in uno degli appartamenti allora riservati ai custodi della scuola elementare. Mio padre, appunto, lo era da molti anni.
Salita la prima rampa di scale, vidi aperta la porta della Sala della Società Filarmonica. Da alcuni giorni mi capitava di vederci entrare un muratore, Lino Mercati, Seme di soprannome: il partigiano che erroneamente era stato dato per fucilato nel ’44 a Villa Santinelli. La sala, che in origine era l’abside della Chiesa degli Agostiniani, veniva adattata a locale da ballo per l’imminente Carnevale ed il muratore eseguiva lavori di risanamento.
Chi sa perché, proprio quel giorno, sentii il desiderio pungente di entrare per rivedere gli affreschi trecenteschi che, qualche anno prima, Beppe Nomi, con l’aiuto di suo fratello Piero, e Giovanni Cecconi avevano individuato sotto l’intonaco e parzialmente rimessi in luce con l’aiuto di rudimentali strumenti. Anch’io ero stato della partita, saltuariamente.
Mi prese voglia, come dicevo, di tornare a rivederli: certi volti di Madonna, certi sguardi … Erano di una dolcezza infinita! Entrai e mi misi in contemplazione. Seme, che non aveva ancora ripreso a lavorare per il turno pomeridiano, mi osservava e non capivo perché. Lo salutai e allora, come incoraggiato dal saluto amichevole, ruppe il ghiaccio.
– N’è venuto fuori un altro di questi dipinti. Stamattina. – mi disse un po’ reticente.
– Dov’è? – chiesi incuriosito.
– Di là, in quello sgabuzzino.
Mi portò in uno stanzino senza finestra che serviva da ripostiglio per i musicanti. Un’asse incalcinata su due caprette di ferro, una corta scala a pioli. L’oscurità non consentiva di scorgere altro. Accese una lampada volante, collegata ad un lungo filo elettrico, l’alzò sopra l’asse e illuminò il dipinto.
Era inconfondibile!
– Ma questo è di Piero della Francesca! – gridai.
Ad ogni secondo che passava mi rendevo conto sempre più della eccezionalità del fatto. Che emozione! Non c’era da sbagliarsi. Il volto, gli occhi, il portamento statuario della figura. I colori erano ancora più vividi di quelli che possiamo ammirare oggi, a causa dell’umidità del muro. Era splendido! Ero felice, eccitato, agitato. Lino Mercati se ne accorse e mi sembrò che si volesse quasi giustificare.
– lo non ho fatto niente, è venuto fuori da sé.
– Chi hai avvertito?
– Nessuno. Ma che ne so io …
Gli spiegai che aveva fatto un grosso ritrovamento. Allora si rassicurò e fu più ricco di particolari.
– L’umidità aveva gonfiato l’intonaco. Io dovevo rompere la gobba e rifarlo. Ho dato una martellata e ho visto comparire un occhio. Se qui c’è un occhio un altro deve essere qua. Un’altra martellata. Non c’era. Allora deve essere di là. Un colpo, è apparso il secondo occhio. Allora il naso è qui. To … è saltato fuori il naso e la bocca.
– Sciagurato, potevi rovinare tutto! Ora non toccare più nulla e avverti qualcuno.
– Ma io non ho fatto niente, è venuto fuori da sé.
Ero giovane e avevo fame. Andai a pranzo, ma dopo due cucchiate di minestra di fagioli smisi di mangiare, salutai in casa e scappai. Sempre più ero preso dalla smania di dirlo a qualcuno, oltre che ai miei.
Tornai alla Filarmonica. Lino Mercati aveva ripreso a lavorare più in là e gli chiesi:
– Sei stato ad avvertire?
– Ma chi? – brontolò.
Uscii per provvedere. Andai da Beppe Nomi, che era l’ispettore onorario ai monumenti. Non era in casa. Cominciai a cercarlo. Incontrai un gruppo di amici: Renato Pecorelli, Massimo Moriani, Valentino Valentini, Raffaele Rizzo. Forse qualche altro. Chiesi di Beppe. L’avevano intravisto e mi portarono da lui. In piazza lo incontrammo. Lo chiamai, ma non mi dette ascolto: era con il signor Adriano Canosci, corrispondente de “LA NAZIONE” e con un ispettore del giornale fiorentino.
Ero cosciente di non avere nessun merito per la scoperta, ma provavo una comprensibile gioia a pensare che ero io il secondo uomo del XX secolo, dopo Seme, ad aver visto quello che sarebbe stato poi identificato per il S. Giuliano, e di essere stato il primo a rendersi conto che si trattava di un Piero della Francesca. Mi urgeva dentro il bisogno di raccontarlo a Beppe. Perciò mi ribellavo al fatto che ci snobbasse.
Lo richiamai, e senza complimenti, gli dissi:
– Dammi udienza, ti conviene. Ho scoperto un Pier della Francesca.
Tempo prima lui aveva fatto ricerche mirate e saggi in varie chiese. Inutilmente.
La nostra comitiva era di burloni, c’era da darci poco credito. Ma di me aveva un po’ di fiducia, perché avevamo lavorato insieme a queste cose. E poi la curiosità era tanta, che valeva la pena di rischiare la beffa.
– Dove? – azzardò.
– Non te lo dico. Abbi fede, vien dietro a me e vedrai. –
Anche gli amici erano increduli. Non erano al corrente di nulla. Ci avviamo in corteo. Beppe era scettico, ma tentato. Alla Filarmonica l’introdussi nel ripostiglio. L’asse e la capretta non c’erano più. Montò sulla corta scala, fino al penultimo piolo e appoggiò il ventre al muro, per stare in equilibrio. Tremava.
– È lui, è lui; e poi di quelli belli! ;
– Pare incazzato, ‘sto santo, d’essere stato scoperto – commentò uno degli amici, notando lo sguardo fiero della figura.
A quel punto nasceva il problema di avvertire le così dette autorità competenti. Ma l’ispettore de “LA NAZIONE”, che ritrovammo in piazza, voleva dare la clamorosa notizia al suo giornale e non sentiva ragioni; Beppe, da persona corretta, non poteva consentirlo per i rapporti che aveva con la Soprintendenza.
I miei amici, scanzonati goliardi, cominciavano a divertirsi, e sghignazzando, minacciavano:
– Beppino, o ci paghi da bere, o si dice a Felix – che era il corrispondente de “IL MATTINO DELL’ITALIA CENTRALE”, il quotidiano toscano concorrente.
– Questo no! – intervenne l’ispettore, che non aveva capito che non si trattava di un ricattuccio, ma che gli amici la buttavano in goliardia – A questi bravi giovinotti la bevuta gliela pago io.
E brindammo alla salute de “LA NAZIONE”, di Beppe Nomi, mia, e, perché no, di Piero della Francesca.
Andò a finire che la notizia fu pubblicata dal giornale, ma con poco rilievo. E le autorità competenti si presero un po’ di tempo prima di sentenziare che si trattava di un affresco pierfrancescano. Prima di fare la cosiddetta attribuzione.
IVO PASQUETTI (1988)
Non m’arcordo quando lo vidi per la prima volta, o quando fu portato al Museo, ma m’arcordo quando venne a trovarmi a Londra.
Nella primavera del 1969, allora lavoravo a Londra, fu allestita una mostra, “Frescoes from Florence”, di opere salvate e restaurate dopo l’alluvione di Firenze. La Hayward Gallery era stata inaugurata da poco lungo la riva sud del Tamigi. Quando appresi che c’era anche il San Giuliano di Piero fui sorpreso, ma cosa centra lui? Non era stato alluvionato, ma certo gli organizzatori che l’avevano ottenuto in prestito erano soddisfatti: avere un Piero della Francesca dava lustro alla mostra ed avrebbe attratto gran pubblico.
San Giuliano a Londra
E così fu. Ci andai diverse volte e mi sentivo particolarmente orgoglioso, quella era roba mia! Volevo che tutto il mondo l’ammirasse.
Il San Giuliano era girellone ed arrivò a New Orleans per la 1984 Louisiana World Exposition, ma questa volta non andai a trovarlo.
Non so se sia andato da qualche altra parte.
San Giuliano a New Orleans
Da tutto questo si apprende che il 14 dicembre 1954 fu un giorno memorabile, Seme riscoprì un santo nascosto per secoli ed Ivo Pasquetti mangiò una minestra di fagioli. E non dimentichiamolo.
Cerco una foto di Seme, Lino Mercati the unsung hero, da inserire in questa storia. Mi pare che si dia poco credito al suo contributo, magari un altro avrebbe martellato il tutto.
E diamo anche credito a questo soffitto che ha protetto l’affresco per secoli.
soffitto dell’abside della Chiesa degli Agostiniani a Sansepolcro
La profilo ducale (pierfrascano) del giovane Ivo Pasquetti viene dal giornalino goliardico “Per chi Suona il Campanone” del Natale 1949.
Marblehead 23 ottobre 2015
Ho recentemente pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Ho già scritto della Festa di San Rocco, infatti parte di questa storia è stata pubblicata nel mio libro di memorie Borghesi “M’Arcordo…”
Avendo appreso che la Confraternita della Misericordia (1338) di Sansepolcro sta organizzando la festa popolare per il 25 agosto per onorare il santo, mi è venuto un momento di nostalgia, di tempi lontani non necessariamente migliori, ma di certo fantastici perché la mia memoria di bambino ed anche di adolescente li ha riposti in una nuvola speciale.
San Rocco era un francese e infatti anche a Tuchan, il piccolo paese dove abito in Languedoc, aveva la chiesa di Saint Roch. Aveva, perché durante il fervore rivoluzionario fu saccheggiata e fu adibita a magazzino; parzialmente distrutta, rimane l’abside che è stata incorporato in una casa. San Rocco divenne molto popolare e arrivò anche al Borgo e dedicarono a lui la chiesa eretta sopra quella del Santo Sepolcro.
Mi è simpatico anche se l’onnipresente cane che gli lecca la gamba ferita mi rattrista. Ma qual’è la su’ storia? Se la sapevo l’ho dimenticata.
Quando ero piccino la Festa di San Rocco veniva celebrata il pomeriggio del 16 d’agosto come sempre in via degli Aggiunti davanti alla chiesa del santo, dove la strada si slarga on po’, di fronte al giardino Piero della Francesca ed era organizzata dai Confratelli della Misericordia, allora portavano ancora la “buffa” quando andavano a prendere i malati. Credo che mia madre mi ci abbia portato sin da quando ero piccolissimo, ‘l mi’ babbo non ci veniva mai. Questo era uno degli eventi, come le Fiere, che attendevo con tanta impazienza. Poi arrivava una mattina d’estate e mia madre mi annunciava:
“Oggi si va alla Festa di San Rocco!” e io ero contentissimo: l’albero della cuccagna, il tiro alla fune, ma sopratutto “La Bigoncia” con l’oca dentro, questa era la gara che mi piaceva di più. Penso che contavo i minuti e domandavo in continuazione:
“Quando se va?” L’attesa mi sembrava sempre troppo lunga.
Quando si giungeva dalla rampa, che saliva su da Piazza Garibaldi, la prima cosa che vedevo era la fune tesa attraverso la strada con al centro la famosa bigoncia piena d’acqua, ma ancora non c’era l’oca. Da un lato di questa tinozza era stata inchiodata una tavoletta con in fondo un foro, questo era l’agognato bersaglio da infilzare con la punta d’una lunga asta e il premio era l’oca stessa.
Noi s’arrivavamo sempre presto, c’era modo di incontrare tanti amici. Si girava anche per il giardino dove era stato piantato per terra un gran lungo palo, che sembrava il mitulo d’un pagliaio. I cima a questo venivano appesi i premi: salami, salsicce, mi sembra che un anno c’era anche un povero pollo vivo, con la testa ‘n giù. Un uomo aveva un barattolo pieno di sugna, e con un pennellone imbrattava tutto il palo per renderlo scivoloso per chi avrebbe cercato di salirlo; avrebbe anche insugnato tutti i vestiti. “Chissá come gli grida la su’ mamma quand’artorna a casa!” pensavo io.
Si visitava la chiesa e ci si fermava davanti a San Rocco per una piccola preghiera, come ho detto mi piaceva, lui aveva il cane. I Confratelli della Misericordia vendevano anche dei piccoli panini, detti di San Rocco; la mi’ mamma diceva che si dovevano mangiare per devozione, ma io li avrei mangiati lo stesso, mi piacevano. Una volta, quando mia madre cercò di comprarne e non li trovò perché erano finiti, fui molto triste, ma per poco, quello che contava erano i giochi.
Più d’una volta fummo invitati a casa della Vittoria, la mamma di Gianni, meglio conosciuto come ‘l Liscio. Dal loro salotto si accedeva ad una terrazza d’angolo che offriva un bella veduta della festa. Poi, da più grandicello, preferivo essere in mezzo alla folla e più vicino alla bigoncia, anche se la mamma mi diceva che mi sarei bagnato tutto. Questo era il gioco che mi piaceva di più, e poco prima dell’inizio della tenzone arrivava uno degli organizzatori con un bell’ociarone bianco e saliva su una scala a pioli, che altri aiutavano a sorreggere, e la metteva nella bigoncia giá piena d’acqua.
Il primo cavaliere era pronto ed agguerrito e con la sua lancia in resta non era in sella ma piuttosto seduto in una vecchia sedia sgangherata e legata, inchiodata sopra un carretto e invece d’un indomabile destriero aveva due uomini alle stanghe e spesso non riuscivano a tirare alla stessa velocitá. Questo rendeva ancora più difficile mirare e centrare il famoso buco. Spesso il cavaliere colpendo la tavoletta baltava la bigoncia e si trovava sotto una cascata d’acqua. Quando cominciava la corsa un gruppo di ragazzini si metteva ad inseguire il contendente e spesso anche loro finivano sotto l’acquazzone. Subito comparivano altri aiutanti con secchi pieni d’acqua e la bigoncia era pronta per un altro attacco. L’oca era legata in qualche maniera perchè con l’urto dell’asta certe volte veniva sbalzata fuori. Il secondo cavaliere era subito pronto per la carica e queste continuavano con i berci di incoraggiamento della folla sino a quando un temerario dallo sguardo acuto e polso fermo avrebbe infilzato l’asta nel buco. Urlo sovrumano della folla entusiasta! Ecco l’eroe della giornata, quella che aveva compiuto l’impresa, che artornava a chesa tutto mollo e con l’ocia.
C’era poi il tiro alla fune, ma non era cosi eccitante. L’albero della cuccagna invece me piaceva di più. Gli scalatori si riempivano le tasche di terra e la buttavano sul palo unto cercando così d’avere più presa, ma poi squillavano lo stesso e artornavano giù da dove erano partiti e io ridevo. A la fine, dopo che in dimolti avevano pulito ‘l mitulo a forza di provarci, uno arrivava ‘n cima e cominciava a buttar giù tutto quel bottino. Quando ‘n c’era ‘rmasto più gnente scendeva e la festa era finita. E io dovevo aspettare ‘n’antr’anno.
La cosa strana, ma forse non era strana per niente, era che non ho mai pensato che quando sarei diventato grande avrei partecipato ai giochi, sarei stato solo uno spettatore, come nel 1963, quando scattai queste foto.
2001, 25 agosto.
Alla fine d’agosto di quell’anno mi trovavo a Firenze per lavoro, stavamo girando un documentario. Alla fine del filmare avevo alcuni giorni liberi mentre il resto si riposizionava a Montecatini. Era una domenica mattina e prometteva d’essere una giornata caldissima, non volevo rimanere. Firenze è bella, anzi bellissima, ma Firenze in quei giorni passati in un hotel del centro mi aveva immalinconito, rattristato. Non mi ci ritrovavo più. Firenze era cambiata, ed anch’io ero cambiato e non ero più lo studente che andava all’università. Allora decisi d’artornare al Borgo. Feci la valigia in dieci minuti e mentre ero nel taxi correndo verso la stazione telefonai a Paolo Massi, che se ne stava tranquillo in piscina:
“Paolo, arivo ad Arezzo fra ‘n ora!”
E tovai Paolo, puntuale, li ad aspettarmi alla stazione d’Arezzo. Tornando verso il Borgo, Paolo mi disse che quella sera ci sarebbe stata la Festa di San Rocco, con cena al giardino, preparata dal Liscio. Immaginate la mia gioia: la Festa di San Rocco, anche se non era il 16 agosto, sembrava l’avessero post posta per me. La festa di quel santo francese con il suo cagnolino faceva felice anche un miscredente come me.
lo Sceriffo in veste estiva
I tempi erano cambiati, infatti avevo da poco acquisito la mia prima macchina digitale e mi sfogai, cercando di immortalare tutto e tutti, incluso il mitico Sceriffo, versione estiva. Credo che questo soprannome derivava da quell’immancabile cappello a larga falda, forse ci andava a dormire. Era un pomeriggio caldo e afoso, e anche lo Sceriffo s’era adeguato alla temperatura: niente giacca o cravatta e aveva preferito un cappello di paglia all’inseparabile feltro. Al mio saluto, alle mie domande rispose con monosillabici “si” o “no”. Si vede che quel giorno non era in vene di sentenziare una delle sue lapidarie affermazioni. Era là ad osservare e godersi i giochi popolari e fumava. Spesso con le sue mitiche e drastiche asserzione prometteva disastri incommensurabili, ma poi era un buono e non avrebbe fatto male ad una mosca.
Mi sembra opportuno ricordare una delle Beatitudini come ce la indica Matteo:
“Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.”
Questa una serie di foto dei giochi, delle ciacce fritte nel giardino e della cena organizzata dal Liscio.
Spero che molti dei ragazzi/e, ormai diventati grandi si riconoscano e che abbia portato loro un sorriso.
pronti per la festa mangiando una ciaccia
I citti mangiano senza mani
poi tiro alla fune
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il gran momento, la Bigoncia.
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l’albero della cuccagna
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e per finire quell’anno incontrai una bella ragazza, creativa. Era lei che aveva inventato i calzoni sdruciti, dieci anni prima che venissero di moda? I compenso lei aveva avuto l’idea di tenerli un po’ chiusi con degli spilloni a balia. Chi se la ricorda? Ma chi era?
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2012, 26 agosto.
Ancora una volta per caso mi son ritrovato al Borgo in occasione della festa di San Rocco e questa una serie di foto d’una nuova generazione di festaioli.
Alfredo cerca di controllare la folla
La biga pronta per l’indomito eroe..
comincia la gara, sotto l’attento occhio del sindaco.
e per finire l’albero della cuccagna
GRAZIE Confraternita della Misericordia per il lavoro di tanti generosi volontari e anche per salvare le nostre tradizioni
Tuchan, Languedoc, 19 agosto 2019
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Era una domenica d’estate del 1962, tardo pomeriggio quando il sole comincia a calare. Tanta gente a spasso per la Via Maestra e fuori la Porta Fiorentina, lo struscio. D’improvviso si sparse una voce:
“È arrivata Claudia Cardinale, è da Orfeo!”
Tutti velocemente si diressero verso l’albergo Orfeo lungo il viale Diaz. C’ero anch’io. In poco tempo la Via Maestra si svuotò. Per un posto come il Borgo, dove non succedeva nulla quasi mai, quello era davvero un grande evento.
Claudia Cardinale era venuta al Borgo!
Comencini stava realizzando il film “La Ragazza di Bube” dall’omonimo romanzo di Cassola. Aveva scelto Sansepolcro e Anghiari per girare alcune scene.
Qualcuno fra la folla accalcata davanti all’albergo gridò:
“Claudia! Claudia!”
In breve questo richiamo fu ripetuto da tanti altri scandendo all’unisono:
“Claudia! Claudia!!”
La folla fu accontentata e Claudia bellissima e radiante con un bel sorriso apparve alla finestra. La folla accontentata esplose in un clamoroso applauso e lei continuava a sorridere e a salutare con la mano.
Non ricordo quanto durò la scena ma alla fine tutti andarono a cena contenti.
Al Borgo girarono una scena all’interno del vecchio seminario. Il maestro Medici era stato scelto per fare il maresciallo dei Carabinieri che doveva interrogare Lara, lui voleva sapere:
“Dov’è Bube? Dov’è Bube?”
Comencini voleva che Mara durante l’interrogatorio, impaurita e intimidita, scoppiasse in un gran pianto, ma questa non ci riusciva; si disse allora che il maresciallo Medici, di sua iniziativa, diede un grande schiaffo (un ciurlone) a Claudia che, dapprima sorpresa e impreparata, cominciò a singhiozzare. La scena era riuscita.
Ma sarà vera?
Marblehead, 25 febbraio 2019
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Verso il 1950 ancora si sentiva l’eco della guerra e la pace ritrovata, anche se le paure erano tante, accumunava molti con un senso di ottimismo o almeno il desiderio di divertirsi, di essere assieme, almeno fin a quando dura.
La guerra fredda faceva venire i brividi a molti, ma quel giorno vecchi fascisti e giovani comunisti erano tutti amici accomunati nello stesso obbiettivo: trovare le fragoline di bosco.
Infatti nel dopoguerra, quando arrivava l’estate, molti dei dipendenti della Buitoni di Sansepolcro, impiegati e operai, organizzavano grandi scampagnate, una di questa era la famosa “Fragolata”. Il nome stesso non lasciava dubbi su quale fosse l’obbiettivo dell’allegra comitiva, trovare e mangiare le fragoline di bosco. Era una scampagnata pericolosa, bisognava stare accorti, c’erano le vipere, che non amano esser disturbate.
Queste due immagini hanno immortalato una di queste scampagnate nelle montagne sopra Sansepolcro, forse i Prati Alti?
Al centro con gli occhiali Renato Braganti (il mi’ babbo) alla sua destra mi pare ci sia il Maggini, stava in via San Puccio, come al solito riconosco molti altri, ma mi sfuggono i nomi.
Aiutatemi.
Marblehead, 13 gennaio 2019
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Sansepolcro, 8 settembre 1963 Palio della Balestra
Con il mese di settembre a Sansepolcro arriva il Palio della Balestra, la storica tenzone fra i Balestrieri di Sansepolcro con i fratelli nemici di Gubbio.
Anche in questa occasione Messeri e Madonne aspettano che i baldi balestrieri si apprestino a tirare le loro verrette sul corniolo e che vinca il migliore, ma è sempre meglio se è uno dei nostri.
Molti son quelli che riconosco ma non ne ricordo i nomi.
Il primo sulla sinistra di profilo è il Mosconi, donzello comunale. Era proprio lui quello che puntualmente in quegli anni si presentava al Palio di Sant’Egidio (1 settembre) con i soldi del lascito (ma lascito di chi?) che veniva dato al vincitore; questi portava a casa il corniolo ma non metteva i soldi in tasca, ma con gli stessi offriva la cena a tutti i balestrieri, alla fine eravamo sempre tutti vincitori.
La bella Madonna dalle trecce lunghe seduta in prima fila è Leda Vaglini, un’amica che ancora incontro regolarmente assieme al marito Beppe quando vengo al Borgo.
Ne riconoscete altri? Quelli in basso sulla destra sono di Gubbio.
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Marblehead, 6 gennaio 2019
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.