
Il San Giuliano di Piero della Francesca è un girellone. Lo incontrai a Londra nel 1969, penso che quello fosse il suo primo viaggio.
Pochi giorni fa è ripartito, viaggio lungo, questa volta per andare all’Ermitage di Санкт-Петербу́рг, questa volta ha un compagno di viaggio, San Ludovico.
Ma cosa si saranno detti quei due durante tutte quelle ore di viaggio andando verso nord?
So che il San Giuliano di viaggi ne ha fatti molti, Venne in America, New Orleans, nel 1984. Gianni Bartolomei ha la cronistoria di tutti i viaggi del San Giuliano e di altre opere di Piero.
Quando riscoprirono l’affresco perduto di Piero della Francesca io ero alle Medie. La notizia si sparse come un fulmine, ci fu un esplosione di entusiasmo generale e tutti a Sansepolcro se ne sentirono orgogliosi. Quell’angelo, come venne chiamato all’inizio, doveva essere solo una prima scoperta, sotto quegli intonaci ci doveva esser ben altro, ma purtroppo le aspettative furono deluse.
Accontentiamoci del San Giuliano e non è poco.
Ma con tutta la miriadi di santi che ci sono come fecero a stabilire che questo fosse proprio San Giuliano? Ma che c’è scritto da qualche parte? Se qualcuno lo sa ce lo dica.
A suo tempo, quando scrissi questa storia in un M’Arcordo… io spesso conversavo (via Facebook) Francesco Pasquetti un Borghese che lavora e abita Singapore.
Io dopo cena bevo il mio whisky, me l’ha ordinato il dottore, mentre lui si fa il caffelatte mattutino. Le parti si invertono dopo 12 ore, ho poi scoperto che la sua collezione di whiskey è più ricca della mia. Devo andare a trovarlo.
Una mattina, ma forse era una sera, durante una delle nostre chiacchierate, me so’ arcordato d’un episodio lontano, un po’ confuso nella mia memoria, e gli ho chiesto:
“Francesco, ma chi era quello che vide il San Giuliano di Piero alla Filarmonica? Era il tu’ babbo o il tu’ zio?”
“Era il mi’ zio Ivo.”
“Ma com’è la storia?”
“Anni fa lo zio la scrisse, la cerco e me la faccio mandare dal Borgo e te la passo. The Pasquetti Connection! Grazie anche al mi’ cugino Giulio.”
“Benissimo, la voglio pubblicare.”
E così dopo un paio di giorni questa testimonianza di Ivo Pasquetti, dall’inconfondibile profilo pierfrancescano, mi è arrivata, rimbalzando dall’Europa in America, via Asia.
Questa fu pubblicata in un libro: “Una Piazza, una Città, il Sentimento del Tempo” del 1988, una raccolta di memorie di gente che era cresciuta e aveva vissuto attorno alla fontana di Piazza Santa Chiara.
UN AVVENIMENTO MEMORABILE

Una cosa così non capita spesso, anche se il nostro quartiere in quasi otto secoli, ne ha visti di fatti da tenersi a mente.
Verso le due del pomeriggio del 14 dicembre 1954, tornavo da scuola e, affamato, mi dirigevo a casa per mangiare. Abitavo nell’edificio posto al n. 10 di Via S. Croce, in uno degli appartamenti allora riservati ai custodi della scuola elementare. Mio padre, appunto, lo era da molti anni.
Salita la prima rampa di scale, vidi aperta la porta della Sala della Società Filarmonica. Da alcuni giorni mi capitava di vederci entrare un muratore, Lino Mercati, Seme di soprannome: il partigiano che erroneamente era stato dato per fucilato nel ’44 a Villa Santinelli. La sala, che in origine era l’abside della Chiesa degli Agostiniani, veniva adattata a locale da ballo per l’imminente Carnevale ed il muratore eseguiva lavori di risanamento.
Chi sa perché, proprio quel giorno, sentii il desiderio pungente di entrare per rivedere gli affreschi trecenteschi che, qualche anno prima, Beppe Nomi, con l’aiuto di suo fratello Piero, e Giovanni Cecconi avevano individuato sotto l’intonaco e parzialmente rimessi in luce con l’aiuto di rudimentali strumenti. Anch’io ero stato della partita, saltuariamente.
Mi prese voglia, come dicevo, di tornare a rivederli: certi volti di Madonna, certi sguardi … Erano di una dolcezza infinita! Entrai e mi misi in contemplazione. Seme, che non aveva ancora ripreso a lavorare per il turno pomeridiano, mi osservava e non capivo perché. Lo salutai e allora, come incoraggiato dal saluto amichevole, ruppe il ghiaccio.
– N’è venuto fuori un altro di questi dipinti. Stamattina. – mi disse un po’ reticente.
– Dov’è? – chiesi incuriosito.
– Di là, in quello sgabuzzino.
Mi portò in uno stanzino senza finestra che serviva da ripostiglio per i musicanti. Un’asse incalcinata su due caprette di ferro, una corta scala a pioli. L’oscurità non consentiva di scorgere altro. Accese una lampada volante, collegata ad un lungo filo elettrico, l’alzò sopra l’asse e illuminò il dipinto.
Era inconfondibile!
– Ma questo è di Piero della Francesca! – gridai.
Ad ogni secondo che passava mi rendevo conto sempre più della eccezionalità del fatto. Che emozione! Non c’era da sbagliarsi. Il volto, gli occhi, il portamento statuario della figura. I colori erano ancora più vividi di quelli che possiamo ammirare oggi, a causa dell’umidità del muro. Era splendido! Ero felice, eccitato, agitato. Lino Mercati se ne accorse e mi sembrò che si volesse quasi giustificare.
– lo non ho fatto niente, è venuto fuori da sé.
– Chi hai avvertito?
– Nessuno. Ma che ne so io …
Gli spiegai che aveva fatto un grosso ritrovamento. Allora si rassicurò e fu più ricco di particolari.
– L’umidità aveva gonfiato l’intonaco. Io dovevo rompere la gobba e rifarlo. Ho dato una martellata e ho visto comparire un occhio. Se qui c’è un occhio un altro deve essere qua. Un’altra martellata. Non c’era. Allora deve essere di là. Un colpo, è apparso il secondo occhio. Allora il naso è qui. To … è saltato fuori il naso e la bocca.
– Sciagurato, potevi rovinare tutto! Ora non toccare più nulla e avverti qualcuno.
– Ma io non ho fatto niente, è venuto fuori da sé.
Ero giovane e avevo fame. Andai a pranzo, ma dopo due cucchiate di minestra di fagioli smisi di mangiare, salutai in casa e scappai. Sempre più ero preso dalla smania di dirlo a qualcuno, oltre che ai miei.
Tornai alla Filarmonica. Lino Mercati aveva ripreso a lavorare più in là e gli chiesi:
– Sei stato ad avvertire?
– Ma chi? – brontolò.
Uscii per provvedere. Andai da Beppe Nomi, che era l’ispettore onorario ai monumenti. Non era in casa. Cominciai a cercarlo. Incontrai un gruppo di amici: Renato Pecorelli, Massimo Moriani, Valentino Valentini, Raffaele Rizzo. Forse qualche altro. Chiesi di Beppe. L’avevano intravisto e mi portarono da lui. In piazza lo incontrammo. Lo chiamai, ma non mi dette ascolto: era con il signor Adriano Canosci, corrispondente de “LA NAZIONE” e con un ispettore del giornale fiorentino.
Ero cosciente di non avere nessun merito per la scoperta, ma provavo una comprensibile gioia a pensare che ero io il secondo uomo del XX secolo, dopo Seme, ad aver visto quello che sarebbe stato poi identificato per il S. Giuliano, e di essere stato il primo a rendersi conto che si trattava di un Piero della Francesca. Mi urgeva dentro il bisogno di raccontarlo a Beppe. Perciò mi ribellavo al fatto che ci snobbasse.
Lo richiamai, e senza complimenti, gli dissi:
– Dammi udienza, ti conviene. Ho scoperto un Pier della Francesca.
Tempo prima lui aveva fatto ricerche mirate e saggi in varie chiese. Inutilmente.
La nostra comitiva era di burloni, c’era da darci poco credito. Ma di me aveva un po’ di fiducia, perché avevamo lavorato insieme a queste cose. E poi la curiosità era tanta, che valeva la pena di rischiare la beffa.
– Dove? – azzardò.
– Non te lo dico. Abbi fede, vien dietro a me e vedrai. –
Anche gli amici erano increduli. Non erano al corrente di nulla. Ci avviamo in corteo. Beppe era scettico, ma tentato. Alla Filarmonica l’introdussi nel ripostiglio. L’asse e la capretta non c’erano più. Montò sulla corta scala, fino al penultimo piolo e appoggiò il ventre al muro, per stare in equilibrio. Tremava.
– È lui, è lui; e poi di quelli belli! ;
– Pare incazzato, ‘sto santo, d’essere stato scoperto – commentò uno degli amici, notando lo sguardo fiero della figura.
A quel punto nasceva il problema di avvertire le così dette autorità competenti. Ma l’ispettore de “LA NAZIONE”, che ritrovammo in piazza, voleva dare la clamorosa notizia al suo giornale e non sentiva ragioni; Beppe, da persona corretta, non poteva consentirlo per i rapporti che aveva con la Soprintendenza.
I miei amici, scanzonati goliardi, cominciavano a divertirsi, e sghignazzando, minacciavano:
– Beppino, o ci paghi da bere, o si dice a Felix – che era il corrispondente de “IL MATTINO DELL’ITALIA CENTRALE”, il quotidiano toscano concorrente.
– Questo no! – intervenne l’ispettore, che non aveva capito che non si trattava di un ricattuccio, ma che gli amici la buttavano in goliardia – A questi bravi giovinotti la bevuta gliela pago io.
E brindammo alla salute de “LA NAZIONE”, di Beppe Nomi, mia, e, perché no, di Piero della Francesca.
Andò a finire che la notizia fu pubblicata dal giornale, ma con poco rilievo. E le autorità competenti si presero un po’ di tempo prima di sentenziare che si trattava di un affresco pierfrancescano. Prima di fare la cosiddetta attribuzione.
IVO PASQUETTI
Da tutto questo si apprende che quel 14 dicembre 1954 fu un giorno memorabile per il Borgo; Seme riscoprì un santo nascosto per secoli e non dimentichiamo che Ivo Pasquetti mangiò una minestra di fagioli.
Cerco una foto di Seme, Lino Mercati the unsung hero, da inserire in questa storia. Mi pare che si dia poco credito al suo contributo, magari un altro avrebbe martellato il tutto. Forse ne hanno una nel Museo della Resistenza?
La profilo ducale (pierfrascano) del giovane Ivo Pasquetti viene dal giornalino goliardico “Per chi Suona il Campanone” del Natale 1949.
Non m’arcordo quando vidi il San Giuliano per la prima volta, o quando fu portato al Museo, ma m’arcordo quando poi mi venne a trovare a Londra, come ho detto all’inizio.
Nella primavera del 1969, allora lavoravo a Londra, fu allestita una mostra, “Frescoes from Florence”, di opere salvate e restaurate dopo l’alluvione di Firenze del 1966. La Hayward Gallery era stata inaugurata da poco lungo la riva sud del Tamigi. Quando appresi che c’era anche il San Giuliano di Piero fui sorpreso, ma cosa centra lui? Non era stato alluvionato, ma certo gli organizzatori che l’avevano ottenuto in prestito erano soddisfatti: avere un Piero della Francesca dava lustro alla mostra e avrebbe attratto gran pubblico.
Andai a trovarlo diverse volte e mi sentivo particolarmente orgoglioso, quella era roba mia, anche se dovevo pagare 6 scellini ogni volta! Volevo che tutto il mondo lo sapesse e l’ammirasse.
Ma che ci sono Borghesi che abitano a San Pietroburgo? Siamo una razza di girelloni.
Marblehead, 1 dicembre 2018
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
https://faustobraganti.wordpress.com/
Il mio blog di memorie M’Arcordo… www.biturgus.com/
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Natale si avvicina e un copia del libro M’Arcordo… è sempre un dono gradito per un Borghese lontano, o anche uno vicino.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Presentazione del libro “M’Arcordo…”