centralino del vecchio Hotel Terminus, Carcassonne
Ieri sono entrato in un magazzino a Carcassonne (Francia) e del tutto inaspettato mi è comparso davanti un mobile polveroso che credo la gran maggioranza della gente non sappia cosa sia, o meglio cosa fosse stato un tempo, ma a cosa serviva?
Non molto tempo fa incontrai un ragazzo, direi circa 15 anni, che mi raccontò d’una sua recente visita al Museo della Scienza a Milano. Mi raccontò d’una sua eccitante esperienza, aveva fatto una telefonata con un telefono nero, pesante, che aveva un disco con i numeri. Non l’aveva mai visto prima.
Immaginate se avesse visto questo centralino telefonico!
Ritorniamo a ieri, quando io l’ho visto ho fatto una repentino balzo nel tempo e un sorriso, un nome mi son venuti alla mente, quelli di Silvia Boschi. Era lei la centralinista della Buitoni. Con la sua voce suadente e gentile smistava centinaia di telefonate e si diceva che non sbagliasse mai, ovvero metteva sempre lo spinotto nel buco giusto. non sbagliava. Era lei quella che controllava le comunicazioni, sapeva tutto di tutti.
“Da qui in tutto il mondo” diceva un gran cartello pubblicitario della Buitoni che si ergeva lungo la Tiberina 3bis. La Silvia era il primo contatto rapido con il mondo. Niente computer in quei giorni.
la Silvia con i portieri della Buitoni, (foto dell’archivio di Claudio Pannilunghi)
Nella fotografia la Silvia è l’unica donna assieme alla squadra dei portieri della Buitoni, davanti alla vecchia portineria, in faccia a via Giovanni Buitoni. Le mura erano state abbattute per dare accesso allo stabilimento, la vecchia Porta del Castello era stretta e angusta, non adatta al traffico d’una industria come la Buitoni.
Quella porticina che si intravede era l’ingresso di tutti gli operai, e subito sulla destra, appena entrati, c’era una finestra e da lì si vedeva seduta la Silvia, di profilo e davanti a lei c’era il centralino, con quel pannello pieno di buchi e di spinotti che lei inseriva e toglieva con un’incredibile velocità, per smistare le chiamate in arrivo e in partenza. Io ero affascinato, mi piaceva guardarla, e mi domandavo, ma come fa a non confondersi con tutti quei fili? Quello era un telefono che non suonava, c’erano delle lucine che si accendevano.
Così ieri ho pensato alla Silvia, ed ho sorriso, lei era un’amica de la mi’ mamma.
Al Borgo c’era un altro centralino, quello pubblico, davanti al comune, nella spazio occupate oggi dall’ufficio turistico. Ieri ho pensato alla Silvia e non a Bista, lui non sorrideva mai.
PS: questo centralino apparteneva all’Hotel Terminus di Carcassonne, è stato salvato all’ultimo momento, era già destinato alla discarica.
Fausto Braganti,
28 settembre 2020 ancora a Tuchan nelle Corbieres.
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Tempo addietro mi inviarono questa fotografia con una sola informazione, 1930.
Purtroppo non ricordo chi fu l’amico/a e non mi rimane altro che dire: Grazie!
Anche se son diventato grandino al 1930 non ci arrivo, e non son molti quelli/e a cui chiedere, ma per fortuna ci sono.
Quel signore con la gran barba bianca me lo ricordavo, e ho anche subito riconosciuto il ragazzo al centro con i calzettoni bianchi.
La foto è rimasta nel mio archivio per anni.
Poi è risaltata fuori e grazie a Liana Patè e Francesco Vicarucci ho dato un po’ di luce a quel bel giorno d’estate del 1930 quando questo gruppo si mise in posa davanti alla macchina fotografica.
Il signore barbuto è Domenico Petri (1876-1948) di Sansepolcro a suo tempo un bravo sarto che vinse anche una medaglia d’oro. Sua moglie, Ginna Marcelli, maestra della trina a tombolo divenne famosissima per le sue creazioni e di medaglie e premi ne raccolse tanti. Domenico cessò la sua attività di sarto per dedicarsi a produrre disegni che poi Ginna elaborava in merletti meravigliosi. Domenico andò alla Grande Guerra e tenne un diario che oggi è conservato nell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano. Domenico e Ginna erano i nonni di Liana Patè.
Ricordavo benissimo il ragazzo dai calzettoni bianchi, amico del mi’ babbo, Giuseppe Vicariucci, purtroppo morto molto giovane, ho chiesto al figlio Francesco che me lo ha confermato.
Il mistero rimane, ma dove veramente andarono per quella scampagnata?
PS: possiedo una tovaglia trinata di Ginna Marcelli, con 12 tovaglioli e 12 sottopiatti, dono di matrimonio (1937) delle operaie del reparto confezioni Buitoni al mi’ babbo e a la mi’ mamma, forse era stato proprio Domenico quello che aveva preparato i bozzetti del disegno.
Fausto Braganti,
3 agosto 2020 ancora sfollato a Tuchan nelle Corbieres.
ftbraganti@verizon.net
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Tempo addietro scrissi queste mie personali considerazioni sulla Resurrezione di Piero della Francesca. Ripropongo quanto scritto, rivisto in questi giorni pasquali marcati dal terribile morbo, il Coronavirus. Penso e spero che il messaggio che Piero ci dia coraggio e volontà di combattere, ne abbiamo bisogno, tanto.
Il professore di storia Gino Franceschini, che era anche il preside del Liceo Scientifico Piero della Francesca di Sansepolcro, una volta ci disse (1956-57) che La Resurrezione non era un opera religiosa, ma piuttosto un’opera politica:
“Basta guardare dov’è locata, quella parete non è mai stata in una chiesa, mai un inginocchiatoio davanti, nessuna messa. Quella era la sala dove si riuniva il consiglio cittadino, nel Palazzo dei Conservatori.”
Negli anni seguenti a questa affermazione ci sono stati studiosi che hanno suggerito differenti siti dove l’affresco fu originariamente locato, ma questo non cambia la sostanza dell’affermazione del prof. Franceschini, infatti sempre nell’andito del Palazzo dei Conservatori.
Ci parlò a lungo di Piero e della sua opera e un giorno ci portò anche a vedere la Resurrezione. La pinacoteca, come si chiamava allora, era a meno di cento metri dal liceo: ragazzi fortunati, anche se poi per noi quello che davvero importava era il fatto che s’usciva di classe, almeno per un’ora.
Importante per me è che non ho mai dimenticato quell’affermazione cosi categorica e che col tempo ha influenzato profondamente la mia percezione dell’opera, arricchita anche da tante inevitabili esperienze successive. Quello che dico è solo frutto delle mie emozioni ed esperienze.
Ogni volta che entro nella sala del museo con l’affresco mi sento subito catturato da quei due grandi occhi tondi del Cristo Risorto che mi fissano, e sembrano seguirmi in tutti i miei movimenti, ovunque io vada.
gli occhi del Cristo della Resurrezione
“Forse proprio per farcelo sentire reale e quindi più accessibile Piero scelse le sembianze d’un popolano delle nostre parti.’’
Come ancora ci disse il prof. Franceschini.
Durante ogni mia visita ho la sensazione che Cristo sia stato lì ad aspettarmi per tutti quei secoli, e mi sembra che mi dica con un leggero tono di rimprovero:
“Ma dove sei stato?”.
Il suo messaggio è semplice, un vero appello, reale e diretto, e non voglio offendere la sensibilità di nessuno dicendo che mi ricorda certi manifesti propagandisti della Grande Guerra che invitavano i giovani ad arruolarsi. Certo il nostro Cristo non ha i baffi imponenti di Lord Kitchener.
“Uomo! Questa è la tua ora, svegliati e risorgi! Seguimi!”
Quel Cristo non è un Cristo Pantocratore lontano nella sua ieratica maestà capace solo d’incutere paura, non è un Cristo dalla figura idealizzata barba e capelli lunghi biondi che svolazza fra nuvolette bianche mentre angeli trombettieri annunciano il suo ritorno in cielo. É un Cristo dal piede forte, fermo sul sarcofago. Ci annuncia che lui non volerà via nell’astratto, lui rimarrà per terra al nostro fianco ed è con noi pronto per la battaglia della vita con tutti i suoi ostacoli. Impugna imperioso lo stendardo di San Giorgio, e come il santo guerriero ammazza draghi, lui spazzerà via i veri nemici dell’umanità: superstizione ed ignoranza e quelli che le diffondono… e il coronavirus!
Pascale, mia moglie che non ha mai conosciuto il prof. Franceschini e che aveva conosciuto Piero solo attraverso i libri di scuola prima di venire a Sansepolcro con me, ha raggiunte certe sue conclusioni indipendentemente senza esser influenzata dal mio dire. Lei vede quel piede sulla sponda d’una barca che ha appena attraccato, Cristo è pronto a sbarcare, a scendere a terra, in mezzo alla gente comune e con l’intenzione di starci.
Nel lato destra dell’affresco la natura si sta rigenerando e questo è la conferma del suo messaggio di speranza, la natura che ogni anno si rinnova con la primavera, con la Pasqua. Non sappiamo se i soldati che sono ancora addormentati si sveglieranno. Rappresentano loro il potere repressivo dei potenti che opprimono ogni anelito di libertà? Sappiamo che ci saranno sempre quelli che dormono, quelli che hanno paura della ragione. Noi abbiamo sentito il suo appello, il suo messaggio, risorgeremo con lui e lo seguiremo.
Questo non ce lo disse il professore, questo lo dico io. Non sono un critico d’arte e neanche uno storico, ripeto queste sono solo le mie impressioni, le mie sono solo emozioni che si sono sviluppate nel tempo e il fatto che abiti lontano è diventato un fattore importante. Le mie visite al Cristo Risorgente sono sempre una tappa obbligatoria ogni qualvolta vada a Sansepolcro necessaria a riempire quel vuoto che si è creato col tempo e la distanza.
In casa ho molti libri su Piero, alcuni li ho letti ed altri hanno accumulato polvere sugli scaffali. Prima di scrivere questo intenzionalmente non ho voluto leggere nulla, ho cercato d’essere il più spontaneo possibile e non farmi influenzare dal pensiero degli altri.
Sono andato avanti facendo tante ipotesi, ora ne voglio fare ancora un’altra: Piero conosceva e aveva letto il “De Rerum Natura” di Lucrezio, da poco riscoperto da Poggio Bracciolini. Questa opera fu una delle scintille che iniziarono l’Umanesimo con tutte le sue conseguenze che sono arrivate fino a noi influenzando il nostro pensiero. La lettura e riscoperta dell’Epicureismo lucreziano incrinò quello che sembrava l’indistruttibile tempio della fede per metter le basi a quello della ragione che “che squarcia le tenebre dell’oscurità”. Non dobbiamo svolazzare troppo in cielo, sperdendosi nella metafisica, rimaniamo con i piedi per terra.
E questo per me è un elemento fondamentale in tutta l’opera di Piero. Non lontano da Sansepolcro ne troviamo un’altra prova: la Madonna del Parto di Monterchi. Ma chi aveva mai osato dipingere una Madonna incinta e dalla veste sbottonata? Io non so se ce ne siano altre simili precedenti. Forse, ma fu certo un atto rivoluzionario. La Madonna rappresentata è un’adolescente che potresti incontrare per strada. É una donna vera, sbocciante.
Poi abbiamo un Ercole pagano e una Flagellazione enigmatica per dir poco, e questi dove li mettiamo? Non ho risposta.
La Resurrezione non appartiene né al Borgo, né ai noi Borghesi, noi abbiamo avuto solo la fortuna, forse sarebbe meglio dire il caso, di ritrovarcela in casa e da questa nasce la nostra responsabilità di mantenerla, di proteggerla e di renderla accessibile. Appartiene a tutti, a tutti quelli che trovandosela davanti ne sentono un messaggio che prevarica lo spazio e il tempo.
Queste alcune riflessioni sulla Resurrezione e non a caso le voglio condividere in questi giorni di Pasqua. Son nate da memorie, emozioni antiche che si sono sviluppate nel tempo e che si rinnovano, e sono solo le mie. Debbo concordare con quello che scrisse Cesare “Gli uomini credono in quello in cui vogliono credere” e io sono solo un uomo. Ognuno è un individuo davanti ad un’opera d’arte e come tale questa rimane un’esperienza soggettiva anche se il linguaggio espressivo è spesso comune a tanti, ma non a tutti.
Ecco, oggi ritroviamo il messaggio che Piero ci ha lasciato, il messaggio che ci accomuna.
Il “nostro” Cristo Risorgente, oggi più che mai, ci sprona a seguirlo, a testa alta con lo sguardo fisso davanti a noi, senza esitazioni con il piede fermo per terra, uniti, la battaglia sarà dura, ma ce la faremo.
12 aprile 2020
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres
ftbraganti@verizon.net
Ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus” La storia si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo”
Ora sto cercando di pubblicarlo, cerco un agente letterario e un editore. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei noi nostri eroi, questo è il link al mio
Ogni mattina il maestro Guerri entrava in classe sempre con un cipiglio severo che incuteva paura, non sorrideva mai. Per prima cosa apriva il registro dalla copertina nera e lentamente cominciava a fare l’appello:
“… Poggini Guido…”
Questa volta Guido non si alzato in piedi, non ha risposto
“Presente!”
1949 Sansepolcro terza elementare.
Ho appeno appreso della morte di Guido e son triste e dispiaciuto. Guido era stato un amico, compagno di scuola e un balestriere.
Forse avete già visto questa foto della terza elementare (1948-49) nel mio libro M’Arcordo… Eravamo in 43, Guido è nella fila in alto, il sesto da sinistra con la mano sul fianco, in una posa un pochino strafottente.
Durante una mia visita la Borgo (1989) portai questa fotografia e andai a cercare Guido per mostrargliela, fu felicissimo e subito suggerì:
“Dobbiamo fare una cena!”
In un paio di giorni contattammo tutti quelli che riuscimmo a trovare e andammo alla Balestra a celebrare i 40 anni dopo. Ci furono alcuni che vennero da lontano. Nel 2009 ci fu un’altra cena, il numero cominciava a diminuire; questa volta andammo al Fiorentino, erano passati 60 anni, anche questa volta ci furono quelli che vennero da lontano.
Durante una delle mie ultime visite al Borgo incontrai Guido per la Via Maestra, era un po’ mesto, problemi di salute, e mi disse:
“Dobbiamo fare una cena prima che sia troppo tardi, siamo rimasti in pochi.”
E malinconico mi disse i nomi di alcuni dei cari compagni che non avrebbero risposto all’appello.
Mi dispiace moltissimo di non aver fatto una cena in tempo, specialmente i questi giorni terribili del coronavirus, sfollato lontano.
Per finire aggiungo una foto di Guido balestriere, Palio di Sant’Egidio, 1 settembre 2001.
2001 1 settembre, Guido Poggini al Palio di Sant’Egidio.
6 aprile 2020, sfollato a Tuchan in Languedoc.
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Ho finito di scrivere un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus” La storia si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo”
Ora sto cercando di pubblicarlo, cerco un agente letterario e un editore. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei noi nostri eroi, questo è il link al mio
Bruno Galardi e Paola Baschetti, farmacia di Porta Fiorentina (Tanya Braganti fotografa)
Questa mattina alle 8:00 a Sansepolcro c’è stato il servizio funebre di Bruno Galardi nella chiesa Santa Maria delle Grazie. Bruno era il mio amico, era stato il mio compagno di banco, e mi dispiace di non essere stato presente.
Con questa foto lo voglio ricordare a voi tutti assieme a sua moglie, la cara Paola Baschetti che con la sua morte prematura l’aveva preceduto.
Il responso al mio breve articolo su Bruno, scritto due giorni fa su questo mio blog quando appresi della sua morte, è stato rapido e grande. Ho pubblicato l’articolo verso le 17:00 (ora americana) quindi le 23:00 al Borgo; nel giro di due ore più di 500 persone avevano visitato il mio sito e sono cominciate cosi centinaia di note di cordoglio, di tristi commenti su quanto Bruno mancherà e su quanto fosse gentile e caro con tutti; questa testimonianza d’affetto è stata molto commovente. Mi son sentito fiero d’averlo conosciuto e contento d’esser stato il suo amico. Ieri più di 1200 persone si sono aggiunte nel leggere il mio blog e tutti hanno continuato ad esprimere il loro dolore per la scomparsa di Bruno. Grandissima prova d’affetto!
Moltissimi hanno ricordato come Bruno fosse gentile e affabile con tutti.
Moh ve voglio arcontere ‘na storia che de sicuro ve farà sorridere.
Si, il dottor Bruno Galardi, quel signore impeccabile sempre col suo camice bianco, candido, una volta partecipò a una rissa polverosa, ad una epica scazzottata.
Nel 1961 Bruno e anche suo fratello Livio erano balestrieri come me. Durante una delle nostre trasferte a Gubbio fummo invitati a salire sulla collina al santuario di Sant’Ubaldo con quella specie di teleferica, da poco inaugurata, che gli eugubini avevano ribattezzato i “buzzi”. Durante l’ascesa incrociammo alcuni giovani che scendevano, facendo ogni tipo di contorsioni ed equilibrismi nel loro buzzo e di conseguenza facendo dondolare anche noi che si saliva. Fui proprio io che mi misi ad urlare contro di loro invitandoli a smettere e di certo non mancarono un buon numero di epiteti da parte mia. Dopo la visita al santuario riprendemmo la teleferica per scendere, io e Paolo Massi fummo i primi ad arrivare in basso e appena scesi un gruppo di giovani eugubini, forse 7 o 8, ci circondò e uno di questi mi si piazzò davanti e cominciò ad insultarmi, era più alto di me e con il suo petto pressato sul mio mi gridava anche
“Non mi spingere!”
Erano quelli i funambuli che avevano fatto pericolosamente oscillare la teleferica e a cui io avevo gridato di smettere. Avevano adunato altri e erano tornati con i rinforzi agli arrivi per attenderci, per vendicare l’offesa. Mi avevano riconosciuto, ero io il colpevole dell’offesa. Paolo Massi vedendo il tipo che mi sospingeva col torace mi diceva:
“Fausto sta calmo, sta calmo, ora arrivano gli altri.”
Io non ce la faci a star calmo, e fui proprio io a dare il primo cazzotto in faccia al mio assalitore, che preso di sorpresa perse l’equilibrio e cadde, forse gli avevo dato anche uno spintone. Uno dei suoi compagni, che era dietro di me mi prese per il collo e mi trascinò per terra, Paolo Massi accorse a difendermi. Il mio assalitore che si era rialzato vedendomi per terra era corso per prendermi a calci… ma “arrivano i nostri”, infatti con il secondo buzzo erano scesi Bruno e Livio Galardi che non capendo cosa stava succedendo, si erano avvicinati e furono subito coinvolti nella baruffa, spintoni, cazzotti e calci. Gli eugubini non avevano capito che noi eravamo parte d’un gruppo numeroso e che ogni pochi secondi arrivavano altri rinforzi, due alla volta. Poi ci fu uno dei nostri che cominciò a gridare
“Maresciallo, maresciallo!”
Con noi c’era anche il maresciallo La Tona. Gli assalitori, che a questo punto erano diventati una minoranza, si diedero alla fuga. Arrivò anche il maestro Petrucci che con la sua mole intimidiva anche i più coraggiosi.
Conclusione: il ferito più grave della rissa fu Livio Galardi, che aveva ancora una ferita fresca sulla mandibola causata da un incidente motociclistico; la ferita si era riaperta per un cazzotto ricevuto e sanguinava profusamente. Io mi storsi la mano destra a causa di quel primo cazzotto che avevo dato, poi mi era sbucciato un braccio ma non so come fosse successo. Bruno scampò illeso dalla baruffa, lo ricordo benissimo nel mezzo del polverone che smanettava dando manate e spintoni a destra e a manca.
Tanya Braganti scattò foto di Bruno e Paola nel 1995, nella farmacia di Porta Fiorentina. Paola fu sempre molto gentile e generosa con Tanya.
Palio del 1961, Gianfranco Tanganelli, Athos Chimenti, Bruno Galardi, Fausto Braganti. Athos quel giorno vinse il Palio
Palio del 1961, Gianfranco Tanganelli, Athos Chimenti, Bruno Galardi, Fausto Braganti. Athos quel giorno vinse il Palio.
Marblehead, 23 dicembre 2019
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Dottor Bruno Garardi (Sansepolcro, aprile 2019, foto di Pascale Queval)
Solo alcuni giorni fa ho pubblicato una fotografia dei vecchi banchi della scuola elementare Edmondo De Amicis, che noi tutti ancora chiamiamo Santa Chiara. Quell’immagine ha suscitato in tanti molti ricordi, considerando l’alto numero di testimonianze e interventi che ho ricevuto. Nello stesso articolo ho parlato del compagno di banco, l’amico importante con cui avresti poi passato tante ore, l’amico con cui ti confidavi, l’amico di fiducia su cui potevi contare quando avevi bisogno, e anche scopiazzare.
Bruno, poi meglio conosciuto come Dottor Bruno Galardi, è stato il mio compagno di banco cominciando dalla prima media per finire nella quinta liceo. Naturalmente l’amicizia si era ancor più consolidata nel tempo e anche fuori della classe. I Galardi in estate si trasferivano da via della Castellina alla villa del Poggio della Fame in collina e quasi ogni sera andavo in Vespa a trovare Bruno. La vista della Val Tiberina era spettacolare. Ricordo i campi pieni di lucciole, che spettacolo! Anche se possiamo definirla una triste coincidenze, ambedue ripetemmo la seconda liceo, così non ci separammo, insieme subimmo l’onta d’esser ripetenti.
Oggi ho appreso la triste notizia: Bruno è morto nel sonno ieri notte, ho perduto il mio compagno di banco, sono triste, molto triste.
Questa foto è dell’aprile scorso quando ero in visita a Sansepolcro.
Con lui se ne va un altro pezzetto di Borgo, come non mi stanco di dire il Borgo non è fatto di chiese e di affreschi e di mura e vecchi palazzi, per me il Borgo è la sua gente con le sue tradizioni e le sue storie belle e brutte, con le sue virtù e anche i suoi difetti.
Marblehead, 21 dicembre 2019
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
I tedeschi in ritirata minarono e fecero saltare in aria la Torre di Berta di Sansepolcro. Oggi è il triste anniversario di quella perdita.
5 anni fa, per i 70 anni della distruzione, pubblicai nel mio blog “M’Arcordo…” uno scritto di Beppe Fanfani con un quadro di Baldino (Ubaldo) Mariucci, un cugino de Castello che voleva bene al Borgo, Baldino da allora ci ha lasciato, voglio ricordare anche lui con affetto.
Oggi ripropongo come questi due cari amici, a loro modo ci ricordarono quel tragico evento che ancora oggi, dopo 75 anni, ci accomuna nel dolore d’una tal perdita.
Baldino Mariucci
Libera interpretazione della distruzione della Torre di Berta in un acquerello di Baldino Mariucci. Baldino mi regalò questo quadro per il mio matrimonio.
La torre del Borgo. (Un ricordo di Beppe Fanfani nel 70° anniversario della liberazione)
C’era una volta un re. No! Né un re, e neppure un pezzo di legno.
C’era una volta un piccolo borgo della Toscana, anzi della Valtiberina, nato chissà come e per volere di chi, là dove il Tevere cominciava a riposarsi dopo gli allegri salti dell’Appennino, e si distendeva nella valle in un corso più morbido e sereno.
All’epoca dei fatti che racconto quel borgo viveva quasi tutto all’interno delle mura erette dai Medici a difesa della città e che, ai punti cardinali, si aprivano in quattro porte chiamate Porta del Castello, Porta del Ponte, Porta Romana e Porta Fiorentina.
Fuori da quelle mura il borgo aveva cominciato timidamente ad espandersi in attività imprenditoriali che all’epoca erano all’avanguardia e di esempio per tutte le altre collettività della valle che, ancora, vivevano di una economia essenzialmente agricola.
Erano sorte industrie importanti.
In quel borgo stava passando la guerra, che si portava dietro tutto ciò che di male la guerra porta sempre con sé, compresi i morti ammazzati e tutta una serie di gratuite distruzioni, che i tedeschi lasciavano nel corso della loro ritirata.
Quel piccolo borgo, come tanti altri, non aveva fatto male a nessuno. Eppure la ritirata delle truppe tedesche nel luglio del 1944 avrebbe lasciato il segno.
L’8 settembre era passato da dieci mesi, e poche cose avevano fino a quel punto scosso la monotonia di quella gente che vedeva la guerra da lontano, attraverso le lettere dei propri giovani che, volenti o nolenti, erano dovuti andare chi in Africa, chi in Grecia, chi in Russia ad inseguire sogni di impero che la follia di quei tempi riusciva a far prevalere sulla ragione.
Solo le mamme che ogni giorno andavano nelle molte chiese a pregare per i loro figli che non erano tornati, avevano chiara la differenza tra le parole roboanti, i manifesti inneggianti alla vittoria, e le sofferenze della propria e della altrui carne.
Il piccolo Borgo non era restato però estraneo all’ incertezza di quei mesi, al fuggi fuggi generale delle gerarchie di comando, al disorientamento che era seguìto alla caduta del fascismo, all’armistizio ed all’8 settembre e, man mano che le truppe tedesche si avvicinavano risalendo l’Italia nella loro ritirata, la gente se ne era andata.
Quasi tutti erano sfollati, ed in città erano restati solo quelli che non avevano potuto allontanarsi per un motivo o per l’altro. Ma la paura li teneva nascosti, e solo quando attorno pareva non esserci nessuno, si arrischiavano a metter fuori la testa. Ogni tanto qualche sfollato tornava dal Trebbio o dalla Montagna per vedere se le loro case o le loro cose eran sempre al loro posto od a cercare qualcosa da mangiare, ma scappavano via subito di nuovo.
Molti giovani, che non avevano voluto seguire la retorica della rinata repubblica sociale, si erano dati alla macchia. Molti di essi vi sarebbero restati per molti mesi, fino alla liberazione, divenendo partigiani. Altri non sarebbero più tornarti.
In quei giorni per le strade non si vedeva più nessuno, e per la prima volta la torre della piazza, senza nessuno intorno, senza una voce, senza bambini, sembrava un vecchio solo che si fosse perso.
Solo il sole le teneva compagnia e la accarezzava da tutti i lati in quel luglio senza rumori. La Torre non poteva muoversi e così, sola, non poteva più ascoltare i discorsi della gente. Ma era curiosa, lo era da secoli, abituata come era, a sapere di tutto, e così il sole nelle ore che le faceva compagnia, le raccontava tutto quello che accadeva.
“Sai” … diceva…” gli alleati da un mese sono entrati a Roma, ormai i tedeschi sono vicini… dì alla gente che stia attenta, dove son passati hanno ammazzato e distrutto… sono sconfitti, rabbiosi, e hanno paura…e quando l’uomo ha paura è capace di tutto. Dì alla gente che non si faccia trovare”.
“… te l’hanno detto? …. Qualche mese fa otto ragazzi sono stati fucilati…qualcuno lo conoscevi anche tu…i più non avevano neanche vent’anni…”
La Torre ascoltava e non rispondeva; ogni tanto scambiava qualche commento con Bonaventura, ma sottovoce, in modo che non la sentisse nessuno.
Bonaventura era la campana della Torre; era di bronzo, grandissima e maestosa ed andava fiera del suo peso e soprattutto della sua voce che, provocata a dovere dal batocchio, si trasformava in un ‘mi’ profondo e maschio.
Anche lei si scaldava alla luce del sole…” Ora mi dovrebbero suonare, ora il metallo è alla temperatura giusta, ora la mia voce è pastosa”. Ed era lei a dare l’ultimo saluto al sole quando scompariva dietro i contrafforti dell’appennino:
‘Buonanotte a domani” … “buonanotte Bonaventura” … rispondeva il sole.
Quel Borgo si trovava lungo una direttrice fondamentale che congiungeva Roma con il nord d’Italia attraverso i passi dell’Appennino, e, dalla primavera del ’44 fu attraversato da colonne militari che risalivano l’Italia portando con sé un esercito in disfatta, che prendeva ciò che poteva e che spesso sfogava contro la popolazione inerme e contro le cose la rabbia verso quello che riteneva il tradimento di un ex alleato.
“L’hai sentiti quei tonfi?”, diceva il Sole… “Hanno fatto saltare il ponte sul Tevere, quello di San Martino sull’Afra, e anche quello della ferrovia…. Vogliono distruggere tutto quello che può essere di sostegno agli alleati che avanzavano da Sud….”
“…Hanno detto che voglion minare le case e le fabbriche, han buttato giù anche la Buitoni e la ciminiera nuova; è caduta a candela, …non si sentirà più la sirena…”
Gli alleati dal canto loro avanzavano verso nord e bombardavano tutti gli obbiettivi strategici, contribuendo a loro volta ad aumentare la distruzione e il deserto di quei luoghi.
“…Ieri m’è andata bene” … disse la torre……” la bomba che è caduta sulla farmacia e sulla casa del Gennaioli è passata a qualche metro da me; m’ha proprio frisato e per la polvere non ho visto niente tutta la giornata…Ma in paese le bombe hanno fatto tanti danni e tanti morti”
“Quando non ci sei tu, la notte, si vedono anche i bagliori dei bombardamenti della città di Arezzo…”
“Si lo sò “… disse il sole… “hanno distrutto tutto, la città non si riconosce per quanto è ridotta male. La ferrovia, le strade, non c’è più niente.”
“Hanno fatto tanti morti…… A Civitella hanno ammazzato tutta la gente, oltre 200 persone. Altrettante a Castelnuovo dei Sabbioni. Ad Arezzo rastrellano le persone e ammazzano anche i ragazzi… Dì alla gente che vedi che se ne vada alla svelta. E se succede qualcosa di grave, tu Bonaventura suona, suona, suona… come hai sempre fatto da tanti anni…”
“.. Buonanotte ora Bonaventura, buonanotte Torre…buonanotte sole.”
Tutti gli Uffici erano chiusi o abbandonati: chiusa la caserma dei Carabinieri, chiusi gli uffici e la banca, la farmacia distrutta dai bombardamenti, la grande fabbrica diventata cenere. Rovine dappertutto. Non c’era rimasto nulla; solo i predoni forestieri e nostrani.
La piazza era grande e, la torre, solitaria al suo centro, disegnava con la sua ombra il passar delle ore e delle stagioni…. “Vedi”, insegnavano i vecchi ai citti…” l’ombra ha raggiunto le finestre del vescovado…, il sole cala all’orizzonte…viene l’autunno” ….
Ma in quei giorni non c’era nessuno; solo qualche cristiano che attraversava di corsa da un cantone all’altro per restare al riparo, nessuno che si arrischiasse ad andare allo scoperto in piazza, e così la torre si sentiva sempre più sola; la sua ombra era restata l’unica compagnia…” meno male che ci sei tu.”.
In quella solitudine era passato anche il giorno del 30 luglio 1944…
“Ormai sono in paese” …disse il Sole…” dicono che vogliono radere al suolo tutta Pieve Santo Stefano per non far passare gli alleati, hanno mandato via tutta la gente, …speriamo non li ammazzino almeno… state attenti…”
“Buonanotte” … disse il sole…” buonanotte” … rispose Bonaventura.
Verso le tre di mattina dal vescovado cominciarono a spargersi intorno alla piazza i seminaristi urlando a quei pochi che erano rimasti in paese……” scappate…scappate…minano la torre…scappate!”.
Un silenzio profondo circondò la zona…Verso le cinque della mattina si avvertì una terribile esplosione; una sassaiola investì quasi tutto il centro storico… una nuvola densa e bianca invase la notte. Quando si dileguò, la torre non c’era più. Bonaventura era rimasta sotto un mucchio di sassi, rotta in tre pezzi e senza più anima né voce.
A mezzogiorno il campanone del Duomo e quello di San Francesco salutarono a loro modo, con i loro rintocchi a morto, l’amico …” addio Bonaventura…”.
Il sole cercò a lungo la torre, la vide a terra nella piazza; si nascose dietro una nuvola e pianse.
Nota personale: rileggendo lo scritto di Beppe anche io, come il sole, mi son nascosto e ho pianto.
*
Si narra che molti anni dopo, un certo “Pizzaiolo”, al secolo Bruschi Giuseppe, alla domanda di un turista tedesco dove fosse la “Torre di Berta” , abbia risposto, drizzando il dito verso la piazza: …...”se què l’ imbecelli dei tu parenti nl’ivon fatta cadere, era lì…..”
Alcune notizie che qui liberamente riportiamo, sono tratte dal libro ‘La Piazza’ di Arduino Brizzi da Sansepolcro. Anche da quel bel libro di ricordi, nasce questa storia. Grazie.
La notte fra il 26 e il 27 luglio del 1849 fu una notte memorabile nell’Alta Valle Tevere, a cavallo fra il Gran Ducato di Toscana e lo Stato della Chiesa, e son passati 170 anni.
Quella sera sul tardi Giuseppe Garibaldi, Anita incinta e malata, e i legionari che ancora lo seguivano, forse ne erano rimasti circa 2000, non andarono a dormire, si misero in marcia.
10 anni fa, assieme a un gruppo di amici, ripercorsi in tre giorni il tracciato da Monterchi a Citerna per poi scendere a Pistrino e poi in piazza a San Giustino, dove la banda di Selci ci accolse, e infine risalimmo fino a Bocca Trabaria.
A tutti quelli che ci aiutarono in quella modesta avventura dedico questa memoria e nuovamente li ringrazio. Allora c’era la speranza che divenisse un evento, una celebrazione annuale.
Alta Valle del Tevere vista da Citerna
Garibaldi, osservando la valle e la catena degli Appennini da Citerna, aveva deciso di traversare la valle, scalare le montagne e dirigersi verso il mare, ancora sperava di raggiungere Venezia. Tre colonne di truppe austriache lo braccavano. Una era partita Siena lo inseguiva da Arezzo, per poi salire lo Scopetone, e infine s’era posizionato a Monterchi proprio sotto Citerna, c’erano state delle scaramucce. Un’altra colonna era partita da Firenze e dopo Arezzo passando per la Libbia aveva raggiunto Anghiari, poi c’era la terza che venendo da Perugia era già a Città di Castello.
Era intrappolato? Non del tutto. Attraverso quelle montagne dall’altra parte della valle c’era l’unica via d’uscita, ma doveva essere veloce.
Angelo Brunetti, il romano meglio conosciuto come Ciceruacchio, aveva fatto un escursione esplorativa a Sansepolcro ed era stato ospite dei Pacchi. C’è una lapide commemorativa dell’evento sotto la finestra da dove parlò ai Borghesi che s’erano riuniti per salutarlo. Ugo Bassi, il sacerdote barnabita, invece era andato a controllare la situazione a Città di Castello e aveva avuto conferma che gli austriaci partiti da Perugia, passati per la Fratta e risalendo lungo il Tevere, erano già fuori le mura.
Garibaldi stesso scrisse molto poco nelle sue memorie di questa sua ritirata da Roma a San Marino, a Cesenatico e per poi sperdersi nella paludi di Comacchio, dove Anita incinta di 6 mesi mori; forse consideravo questo episodio non degno d’esser ricordato, addirittura infamante, si sentiva sconfitto? Al contrario lessi una monografia in cui un generale (non ricordo il nome) affermava che in questa campagna Garibaldi aveva dimostrato un’eccezionale capacità strategica nell’evitare l’accerchiamento.
Quella notte fra il 26 e il 27 luglio il grosso del contingente traversò la valle alla rinfusa, alla garibaldina, dirigendosi verso Pistrino, incalzati dagli austriaci, quelli che erano posizionati a Monterchi, questi non facevano prigionieri, fucilavano gli sfortunati sul posto; poi c’erano i contadini coi forconi. Quelli che ce la fecero guadarono il Tevere per poi ritrovarsi in piazza a San Giustino. I cariaggi, i carri coi rifornimenti e bagagli, la carrozza col “soldo”, il cannone, invece si diressero verso Gricigano e poi fino al ponte del Tevere che portava a Sansepolcro e subito dopo il ponte si buttarono sulla destra; rimasero lungo la riva sinistra del fiume, alla fine raggiunsero la piazza di San Giustino, non ho testimonianze di come traversarono l’Afra. Furono accolti calorosamente e dopo essersi rifocillati grazie alla generosa ospitalità di sangiustinesi, cominciarono l’ascesa verso Bocca Trabaria e il Passo delle Vacche. La prossima destinazione San Marino.
1849 27 luglio, Garibaldi in piazza a San Giustino
Ho visto questo quadretto, sembra un ex-voto, ricordo del passaggio di Garibaldi a San Giustino, vorrei sapere che fine ha fatto.
Lapide commemorativa nelle casa cantoniera sopra Montegiove.
Lapide ricordo alla casa cantoniera lungo la strada che porta a Bocca Trabaria. Interessante, furono i reduci volontari di Sansepolcro quelli che vollero erigere questa memoria nel 1889, 40 anni dopo l’evento.
1849, lista dei condannati da parte dell’autorita’ granducale dopo la restaurazione
Questo documento conferma che il contributo dei Borghesi volontari alla Repubblica Romana fu rilevante e ne patirono le conseguenze. Canapone, tornato al potere a Firenze, impose pene severe ai dissidenti repubblicani. Non dimentichiamo che il benevolo “re Travicello” permise tre giorni di saccheggio a Livorno da parte degli austriaci. Molti Borghesi repubblicani furono imprigionati nella terribile fortezza di Piombino, tristemente famosa per le celle che si allagavano con la marea. Controllate i nomi, forse ci potrebbe essere un vostro avo.
tipica baionetta triangolare di quel periodo
Ho in casa questo cimelio che penso proprio sia una testimonianza di quella terribile notte. Questa baionetta forse apparteneva ad un legionario sbandato, ucciso, come molti altri, da contadini sobillati dai clericali e spogliato di tutto. Le scarpe erano bottino ambito. Un operaio della Buitoni regalò a mio padre questa baionetta triangolare, l’aveva ritrovata nascosta in una mangiatoia in un podere fra Pistrino e San Giustino. La ferita triangolare era terribile, difficilmente si rimarginava.
Tra i legionari c’erano molti stranieri, soprattutto ungheresi. Questi infatti assieme agli italiani avevano un nemico in comune, gli austrici. Il cognome di mia madre è strano, differente: Taba e gli unici Taba che ho trovato sono nel perugino, di certo parenti; in compenso ce ne sono molti a Budapest. Forse uno di quei legionari incontrò una bella ragazza e decise di stare? Chissà!
1862 Thaddeus Mott, ufficiale di cavalleria, ai tempi della Guerra Civile Americana
Uno volontario straniero venne da molto lontano, da New York. Thaddeus Mott non era ancora ventenne quando arrivò a Roma per combattere a Porta San Pancrazio, si unì alla legione garibaldina in ritirata e fu fatto prigioniero dopo San Marino. Passò il resto della sua vita guerreggiando, un vero soldato di ventura, ufficiale nelle Guerra di Secessione, naturalmente era un nordista. Fu un generale nell’esercito egiziano, doveva modernizzarlo.
Tuchan (Languedoc), 27 luglio 2019
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Sansepolcro, 1967, Alessio Uccellini con la sua immancabile bicicletta e sfoggiando il fiocco.
Son già passato quattro anni dalla scomparsa di Alessio. Ci saranno mille e più modi per definire chi è un amico. Oggi voglio provare questa: l’amico è quello con cui puoi continuare una conversazione, anche se non lo vedi da anni, come se fosse stata interrotta la sera prima. E quando l’amico se ne va lo sentirai sempre vicino, tanto vicino da continuare quella conversazione con la tua mente e col tuo cuore.
Ecco quanto scrissi quando appresi della sua dipartita e la ripropongo a quelli che forse non la lessero:
Alessio per quanto ne sappia io non ha mai avuto un soprannome*, Alessio era più che sufficiente. Se proprio uno voleva strafare poteva aggiungere “del Fiorentino”, ma questo era come un titolo nobiliare.
Tanya, dopo aver appreso la triste notizia della sua morte in Facebook, me la l’ha subito comunicata, aggiungendo:
“Yes, he was a force.”
Penso che Tanya sin da quando era piccina voleva andare al Fiorentino proprio perché c’era Alessio, a lei i suoi giochi da prestigiatore interessavano più del cibo anche se poi quando arrivava col carrello dei dolci il suo volto si illuminava. Il problema era la scelta.
Moh v’arconto ‘na storia.
Febbraio 1991. Prima Guerra del Golfo, per ragioni di lavoro mi trovavo a Sorrento, niente male, molto meglio che esser stato convocato per una riunione a Pomezia. Ovunque si respirava un’aria pesante come se la guerra fosse dietro l’angolo, come se dovessi aspettare uno sbarco imminente di truppe nemiche.
“Le vele nere all’orizzonte! Mamma li turchi!”
Finito il mio progetto in anticipo decisi di partire da Sorrento per passare alcuni giorni a Sansepolcro. Era una domenica mattina, traffico inesistente, strade e autostrade deserte. Arrivai al Borgo verso l’una, non mi piaceva l’idea di piombare in casa di parenti o amici così d’improvviso, inaspettato. C’era un solo posto dove potevo andare per pranzo: il Fiorentino, in fondo era un po’ come andare a casa. Decisi poi di rimanere anche a dormire, ma questa è un’altra storia. Credo d’essere uno dei pochi Borghesi che abbia dormito al Fiorentino.
Allora, dopo quel lungo viaggio in macchina, ero contento di salire quelle scale conosciute per raggiungere il ristorante al secondo piano, non ci sarebbero state sorprese, mentalmente vedevo il menu, sapevo che la tradizione sarebbe stata mantenuta. Entrai e non vidi nessuno, mi diressi verso la sala da pranzo sulla sinistra ed era vuota. Nessuno! Tutti quei tavoli apparecchiati e non c’era nessuno. Ma cos’era successo, domenica per pranzo e al Fiorentino non c’era neanche un cliente, impossibile, impensabile!
Comparve Alessio, e un po’ sconsolato con un sorriso moscio, ma sempre con l’immancabile papillon, mi disse:
“C’è la guerra, la gente ha paura, sta in casa. Non hanno studiato la geografia, non sanno dove sia Bagdad, credono che sia dopo Umbertide.”
E aggiunse, con un gesto della mano e una parvenza d’inchino, indicandomi la sala:
“Dove ti vuoi mettere a sedere? Scegli, e so dove andrai, il tuo tavolo preferito è disponibile.” Lui mi conosceva.
Naturalmente scelsi il “mio” posto sull’angolo, accanto alla vetrinetta piena di cimeli.
Mangiare da solo può esser deprimente, ma diciamo che ho una certa esperienza in proposito, ma quella domenica era differente, era addirittura assurda: non mi era mai successo d’essere stato in un ristorante completamente vuoto e forse Alessio lo capì.
“Mi posso sedere? Devo pur mangiare”
“Ma che scherzi?”
Andò in cucina per poi ritornare con un piatto col suo pranzo e si sedette al tavolo con me. Dopo tutto fu molto piacevole e non ci mancarono argomenti per conversare. Alla fine del pranzo chiesi il conto.
“Ma che scherzi? Fa conto che t’ho ‘nvitato a chesa mia pel pranzo de la domenica.”
Alessio, quando arriverà il mio turno, spero proprio di potermi intrufolare in quell’Olimpo dove tu assieme a tanti grandi ristoratori vi darete da fare per preparare banchetti favolosi che durano un’eternità, e non avremo problemi di colesterolo.
Dopo aver pubblicato questo, ci sono stati degli amici che mi hanno ricordato che ci fu un tempo in cui alcuni lo chiavano “ucello”. Vero! Me n’ero scordato.
Marblehead, 12 febbraio 2019
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Sansepolcro 1966-03 il Lili al carnevale di Luigino
Tutti lo conoscevano come ’l Lili. Quasi nessuno lo sapeva, ma anche lui aveva un vero nome e cognome: Gastone Dindelli ed era di Porta Romana.
Era un operaio alla Buitoni, ma non so cosa facesse, di certo non caricava gli autotreni.
Negli anni ’50 veniva spesso al caffè di Bruno Fiordelli, per la Via Maestra. Era molto rispettoso nei confronti di mio padre, che in qualche maniera cercava d’aiutarlo e di proteggerlo.
Girava con una Lambretta ed in quel piccolo mondo d’allora in teoria era un nemico: noi avevamo la Vespa.
Anni dopo, quando scoprii ch’aveva comprato un’Ape gli dissi: “Finalmente sei passata dalla parte giusta!”
Come ho già narrato in un M’Arcordo… a lui dedicato (#8) fu epico il suo viaggio da Sansepolcro a Miramare, quando seguendo mio padre che era in in Vespa, lui si perse a Rimini. Si accorse d’aver sbagliato solo quando arrivato fino a San Marino scopri che quello che aveva seguito non era più ’l mi’ babbo.
Nella mitologia del Borgo si racconta d’una gran festa, si voleva celebrare la fine della guerra (credo nell’inverno ’45 ’46) e la pace ritrovata. Il momento culminante fu quando il Lili comparve sul palcoscenico del Teatro Dante, impersonando Vittorio Emanuele III in alta uniforme col képi impennacchiato e tirandosi dietro uno sciabolone più grande di lui. Sembrava che il teatro venisse giù dalle risate. La drammatica scena si concluse quando dopo un breve processo il re fu condannato a morte. Comparve allora un plotone d’esecuzione armato di bottiglie di spumante e il povero Lili, re per un’ora ma fiero fino all’ultimo respiro, offri il suo petto multi decorato e fu così abbattuto con una raffica di tappi.
Feci questa foto del Lili scolaro col grembiulino nero davanti alla chiesa del Sacro Cuore, durante una festa di Carnevale organizzata da Luigino Chimenti, era il 1966.
“Scolaro Dindelli Gastone.”
“Presente!”
La seconda foto è dell’ottobre 1985; avevo accompagnato la mi’ mamma dal Dott. Martini e nella sala d’attesa incontrai il Lili, mi disse che stava male, era triste. Questa fu l’ultima volta che lo vidi.
Marblehead, 26 gennaio 2019
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.