4 ottobre 1952 foto ricordo, il Sor Marco Buitoni e i suoi collaboratori.
Bella e tipica fotografia di gruppo; il gran capo circondato da tutti i suoi collaboratori, sono loro che hanno reso possibile il successo della compagnia. Il gran capo lo sa, e coerente al suo stile paternalistico, ha riunito tutti per condividere, celebrare un evento, un evento del tutto personale.
“… la mia venuta a Sansepolcro.”
Infatti lui non era di Sansepolcro, era perugino.
Chiamarono un fotografo, purtroppo non ho qui l’originale per vedere chi fosse. Di certo venne con una gran macchina fotografica col soffietto nero, montata su un treppiedi e lui si nascose sotto un panno nero e premette la peretta. Probabilmente aveva con se un assistente per mettere tutta quella gente in posa, penso siano un’ottantina.
Diciamo che la famiglia Buitoni, come tante grandi famiglie, ha una storia complicata. A parte il fatto che ne so ben poco e quello che ricordo mi è stato raccontato, io non posso di certo narrarvela. L’hanno già fatto altri. Diciamo che mi limito a un giorno, il 4 ottobre 1952, era un sabato, forse c’era meno da fare e la Silvia (accovacciata sotto il Sor Gherardo) ha lasciato il centralino, e quello che era successo 25 anni prima, nel 1927, il giorno che il Sor Marco arrivò a Sansepolcro.
Il 1927 fu per i Buitoni di Sansepolcro un anno difficile, per alcuni tragico. Un tracollo economico portò quasi alla chiusura dello stabilimento. La famiglia a quel tempo si era già divisa in due rami, quelli di Sansepolcro e quelli di Perugia, che lavoravano e cooperavano in parallelo. I quel momento difficile che poteva finire in una catastrofe generale i “perugini” presero il sopravvento e spedirono Marco, uno dei 5 fratelli, a Sansepolcro, aveva 33 anni, a prendere le redini dello stabilimento. Il tempo e gli eventi provarono che Marco era stato all’altezza della situazione, la Buitoni iniziò un nuovo gran periodo di successo e di gloria e la ripresa dopo la guerra disastrosa fu un’ulteriore prova del buon lavoro.
Ecco, penso che quel giorno il Sor Marco volle quella foto come per provare a se stesso, “ecco ce l’ho fatta”, e non ha dimenticato chi lo ha aiutato a raggiungere il successo.
A proposito della foto: Il Sor Marco è al centro che guarda direttamente al fotografo, alla sua sinistra un signore con gli occhiali neri con lo sguardo verso il basso, questo è Sor Gherardo, l’unico sopravvissuto all’ecatombe dei Buitoni di Sansepolcro nel 1927, non so come fece a mantenere la sua parte di potere. Alla destra del Sor Marco c’è un signore alto di profilo, penso che sia uno dei fratelli, forse Luigi di Perugia?
Da notare che la gran scala monumentale sembra a buon punto ma i lavori non sono finiti, ancora il busto bronzeo di Giovanni Buitoni non è al suo posto.
Voglio anche pensare al Sor Marco che scrive una dedica personale in ogni fotografia, usando una bella penna stilografica e una segretaria che lo aiuta stendendole sopra una gran tavola, l’inchiostro si deve asciugare.
Quanti cassetti a Sansepolcro hanno ancora questa foto?
Per finire, i tempi cambiano, immaginate il Sor Marco con un telefonino in mano che grida “Sorridete!!” e cerca di far entrare un’ottantine di persone in un selfie.
Fausto Braganti,
ftbraganti@verizon.net
29 settembre 2020 ancora a Tuchan nelle Corbieres.
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
centralino del vecchio Hotel Terminus, Carcassonne
Ieri sono entrato in un magazzino a Carcassonne (Francia) e del tutto inaspettato mi è comparso davanti un mobile polveroso che credo la gran maggioranza della gente non sappia cosa sia, o meglio cosa fosse stato un tempo, ma a cosa serviva?
Non molto tempo fa incontrai un ragazzo, direi circa 15 anni, che mi raccontò d’una sua recente visita al Museo della Scienza a Milano. Mi raccontò d’una sua eccitante esperienza, aveva fatto una telefonata con un telefono nero, pesante, che aveva un disco con i numeri. Non l’aveva mai visto prima.
Immaginate se avesse visto questo centralino telefonico!
Ritorniamo a ieri, quando io l’ho visto ho fatto una repentino balzo nel tempo e un sorriso, un nome mi son venuti alla mente, quelli di Silvia Boschi. Era lei la centralinista della Buitoni. Con la sua voce suadente e gentile smistava centinaia di telefonate e si diceva che non sbagliasse mai, ovvero metteva sempre lo spinotto nel buco giusto. non sbagliava. Era lei quella che controllava le comunicazioni, sapeva tutto di tutti.
“Da qui in tutto il mondo” diceva un gran cartello pubblicitario della Buitoni che si ergeva lungo la Tiberina 3bis. La Silvia era il primo contatto rapido con il mondo. Niente computer in quei giorni.
la Silvia con i portieri della Buitoni, (foto dell’archivio di Claudio Pannilunghi)
Nella fotografia la Silvia è l’unica donna assieme alla squadra dei portieri della Buitoni, davanti alla vecchia portineria, in faccia a via Giovanni Buitoni. Le mura erano state abbattute per dare accesso allo stabilimento, la vecchia Porta del Castello era stretta e angusta, non adatta al traffico d’una industria come la Buitoni.
Quella porticina che si intravede era l’ingresso di tutti gli operai, e subito sulla destra, appena entrati, c’era una finestra e da lì si vedeva seduta la Silvia, di profilo e davanti a lei c’era il centralino, con quel pannello pieno di buchi e di spinotti che lei inseriva e toglieva con un’incredibile velocità, per smistare le chiamate in arrivo e in partenza. Io ero affascinato, mi piaceva guardarla, e mi domandavo, ma come fa a non confondersi con tutti quei fili? Quello era un telefono che non suonava, c’erano delle lucine che si accendevano.
Così ieri ho pensato alla Silvia, ed ho sorriso, lei era un’amica de la mi’ mamma.
Al Borgo c’era un altro centralino, quello pubblico, davanti al comune, nella spazio occupate oggi dall’ufficio turistico. Ieri ho pensato alla Silvia e non a Bista, lui non sorrideva mai.
PS: questo centralino apparteneva all’Hotel Terminus di Carcassonne, è stato salvato all’ultimo momento, era già destinato alla discarica.
Fausto Braganti,
28 settembre 2020 ancora a Tuchan nelle Corbieres.
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Tempo addietro mi inviarono questa fotografia con una sola informazione, 1930.
Purtroppo non ricordo chi fu l’amico/a e non mi rimane altro che dire: Grazie!
Anche se son diventato grandino al 1930 non ci arrivo, e non son molti quelli/e a cui chiedere, ma per fortuna ci sono.
Quel signore con la gran barba bianca me lo ricordavo, e ho anche subito riconosciuto il ragazzo al centro con i calzettoni bianchi.
La foto è rimasta nel mio archivio per anni.
Poi è risaltata fuori e grazie a Liana Patè e Francesco Vicarucci ho dato un po’ di luce a quel bel giorno d’estate del 1930 quando questo gruppo si mise in posa davanti alla macchina fotografica.
Il signore barbuto è Domenico Petri (1876-1948) di Sansepolcro a suo tempo un bravo sarto che vinse anche una medaglia d’oro. Sua moglie, Ginna Marcelli, maestra della trina a tombolo divenne famosissima per le sue creazioni e di medaglie e premi ne raccolse tanti. Domenico cessò la sua attività di sarto per dedicarsi a produrre disegni che poi Ginna elaborava in merletti meravigliosi. Domenico andò alla Grande Guerra e tenne un diario che oggi è conservato nell’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano. Domenico e Ginna erano i nonni di Liana Patè.
Ricordavo benissimo il ragazzo dai calzettoni bianchi, amico del mi’ babbo, Giuseppe Vicariucci, purtroppo morto molto giovane, ho chiesto al figlio Francesco che me lo ha confermato.
Il mistero rimane, ma dove veramente andarono per quella scampagnata?
PS: possiedo una tovaglia trinata di Ginna Marcelli, con 12 tovaglioli e 12 sottopiatti, dono di matrimonio (1937) delle operaie del reparto confezioni Buitoni al mi’ babbo e a la mi’ mamma, forse era stato proprio Domenico quello che aveva preparato i bozzetti del disegno.
Fausto Braganti,
3 agosto 2020 ancora sfollato a Tuchan nelle Corbieres.
ftbraganti@verizon.net
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Tempo addietro scrissi queste mie personali considerazioni sulla Resurrezione di Piero della Francesca. Ripropongo quanto scritto, rivisto in questi giorni pasquali marcati dal terribile morbo, il Coronavirus. Penso e spero che il messaggio che Piero ci dia coraggio e volontà di combattere, ne abbiamo bisogno, tanto.
Il professore di storia Gino Franceschini, che era anche il preside del Liceo Scientifico Piero della Francesca di Sansepolcro, una volta ci disse (1956-57) che La Resurrezione non era un opera religiosa, ma piuttosto un’opera politica:
“Basta guardare dov’è locata, quella parete non è mai stata in una chiesa, mai un inginocchiatoio davanti, nessuna messa. Quella era la sala dove si riuniva il consiglio cittadino, nel Palazzo dei Conservatori.”
Negli anni seguenti a questa affermazione ci sono stati studiosi che hanno suggerito differenti siti dove l’affresco fu originariamente locato, ma questo non cambia la sostanza dell’affermazione del prof. Franceschini, infatti sempre nell’andito del Palazzo dei Conservatori.
Ci parlò a lungo di Piero e della sua opera e un giorno ci portò anche a vedere la Resurrezione. La pinacoteca, come si chiamava allora, era a meno di cento metri dal liceo: ragazzi fortunati, anche se poi per noi quello che davvero importava era il fatto che s’usciva di classe, almeno per un’ora.
Importante per me è che non ho mai dimenticato quell’affermazione cosi categorica e che col tempo ha influenzato profondamente la mia percezione dell’opera, arricchita anche da tante inevitabili esperienze successive. Quello che dico è solo frutto delle mie emozioni ed esperienze.
Ogni volta che entro nella sala del museo con l’affresco mi sento subito catturato da quei due grandi occhi tondi del Cristo Risorto che mi fissano, e sembrano seguirmi in tutti i miei movimenti, ovunque io vada.
gli occhi del Cristo della Resurrezione
“Forse proprio per farcelo sentire reale e quindi più accessibile Piero scelse le sembianze d’un popolano delle nostre parti.’’
Come ancora ci disse il prof. Franceschini.
Durante ogni mia visita ho la sensazione che Cristo sia stato lì ad aspettarmi per tutti quei secoli, e mi sembra che mi dica con un leggero tono di rimprovero:
“Ma dove sei stato?”.
Il suo messaggio è semplice, un vero appello, reale e diretto, e non voglio offendere la sensibilità di nessuno dicendo che mi ricorda certi manifesti propagandisti della Grande Guerra che invitavano i giovani ad arruolarsi. Certo il nostro Cristo non ha i baffi imponenti di Lord Kitchener.
“Uomo! Questa è la tua ora, svegliati e risorgi! Seguimi!”
Quel Cristo non è un Cristo Pantocratore lontano nella sua ieratica maestà capace solo d’incutere paura, non è un Cristo dalla figura idealizzata barba e capelli lunghi biondi che svolazza fra nuvolette bianche mentre angeli trombettieri annunciano il suo ritorno in cielo. É un Cristo dal piede forte, fermo sul sarcofago. Ci annuncia che lui non volerà via nell’astratto, lui rimarrà per terra al nostro fianco ed è con noi pronto per la battaglia della vita con tutti i suoi ostacoli. Impugna imperioso lo stendardo di San Giorgio, e come il santo guerriero ammazza draghi, lui spazzerà via i veri nemici dell’umanità: superstizione ed ignoranza e quelli che le diffondono… e il coronavirus!
Pascale, mia moglie che non ha mai conosciuto il prof. Franceschini e che aveva conosciuto Piero solo attraverso i libri di scuola prima di venire a Sansepolcro con me, ha raggiunte certe sue conclusioni indipendentemente senza esser influenzata dal mio dire. Lei vede quel piede sulla sponda d’una barca che ha appena attraccato, Cristo è pronto a sbarcare, a scendere a terra, in mezzo alla gente comune e con l’intenzione di starci.
Nel lato destra dell’affresco la natura si sta rigenerando e questo è la conferma del suo messaggio di speranza, la natura che ogni anno si rinnova con la primavera, con la Pasqua. Non sappiamo se i soldati che sono ancora addormentati si sveglieranno. Rappresentano loro il potere repressivo dei potenti che opprimono ogni anelito di libertà? Sappiamo che ci saranno sempre quelli che dormono, quelli che hanno paura della ragione. Noi abbiamo sentito il suo appello, il suo messaggio, risorgeremo con lui e lo seguiremo.
Questo non ce lo disse il professore, questo lo dico io. Non sono un critico d’arte e neanche uno storico, ripeto queste sono solo le mie impressioni, le mie sono solo emozioni che si sono sviluppate nel tempo e il fatto che abiti lontano è diventato un fattore importante. Le mie visite al Cristo Risorgente sono sempre una tappa obbligatoria ogni qualvolta vada a Sansepolcro necessaria a riempire quel vuoto che si è creato col tempo e la distanza.
In casa ho molti libri su Piero, alcuni li ho letti ed altri hanno accumulato polvere sugli scaffali. Prima di scrivere questo intenzionalmente non ho voluto leggere nulla, ho cercato d’essere il più spontaneo possibile e non farmi influenzare dal pensiero degli altri.
Sono andato avanti facendo tante ipotesi, ora ne voglio fare ancora un’altra: Piero conosceva e aveva letto il “De Rerum Natura” di Lucrezio, da poco riscoperto da Poggio Bracciolini. Questa opera fu una delle scintille che iniziarono l’Umanesimo con tutte le sue conseguenze che sono arrivate fino a noi influenzando il nostro pensiero. La lettura e riscoperta dell’Epicureismo lucreziano incrinò quello che sembrava l’indistruttibile tempio della fede per metter le basi a quello della ragione che “che squarcia le tenebre dell’oscurità”. Non dobbiamo svolazzare troppo in cielo, sperdendosi nella metafisica, rimaniamo con i piedi per terra.
E questo per me è un elemento fondamentale in tutta l’opera di Piero. Non lontano da Sansepolcro ne troviamo un’altra prova: la Madonna del Parto di Monterchi. Ma chi aveva mai osato dipingere una Madonna incinta e dalla veste sbottonata? Io non so se ce ne siano altre simili precedenti. Forse, ma fu certo un atto rivoluzionario. La Madonna rappresentata è un’adolescente che potresti incontrare per strada. É una donna vera, sbocciante.
Poi abbiamo un Ercole pagano e una Flagellazione enigmatica per dir poco, e questi dove li mettiamo? Non ho risposta.
La Resurrezione non appartiene né al Borgo, né ai noi Borghesi, noi abbiamo avuto solo la fortuna, forse sarebbe meglio dire il caso, di ritrovarcela in casa e da questa nasce la nostra responsabilità di mantenerla, di proteggerla e di renderla accessibile. Appartiene a tutti, a tutti quelli che trovandosela davanti ne sentono un messaggio che prevarica lo spazio e il tempo.
Queste alcune riflessioni sulla Resurrezione e non a caso le voglio condividere in questi giorni di Pasqua. Son nate da memorie, emozioni antiche che si sono sviluppate nel tempo e che si rinnovano, e sono solo le mie. Debbo concordare con quello che scrisse Cesare “Gli uomini credono in quello in cui vogliono credere” e io sono solo un uomo. Ognuno è un individuo davanti ad un’opera d’arte e come tale questa rimane un’esperienza soggettiva anche se il linguaggio espressivo è spesso comune a tanti, ma non a tutti.
Ecco, oggi ritroviamo il messaggio che Piero ci ha lasciato, il messaggio che ci accomuna.
Il “nostro” Cristo Risorgente, oggi più che mai, ci sprona a seguirlo, a testa alta con lo sguardo fisso davanti a noi, senza esitazioni con il piede fermo per terra, uniti, la battaglia sarà dura, ma ce la faremo.
12 aprile 2020
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres
ftbraganti@verizon.net
Ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus” La storia si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo”
Ora sto cercando di pubblicarlo, cerco un agente letterario e un editore. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei noi nostri eroi, questo è il link al mio
Ogni mattina il maestro Guerri entrava in classe sempre con un cipiglio severo che incuteva paura, non sorrideva mai. Per prima cosa apriva il registro dalla copertina nera e lentamente cominciava a fare l’appello:
“… Poggini Guido…”
Questa volta Guido non si alzato in piedi, non ha risposto
“Presente!”
1949 Sansepolcro terza elementare.
Ho appeno appreso della morte di Guido e son triste e dispiaciuto. Guido era stato un amico, compagno di scuola e un balestriere.
Forse avete già visto questa foto della terza elementare (1948-49) nel mio libro M’Arcordo… Eravamo in 43, Guido è nella fila in alto, il sesto da sinistra con la mano sul fianco, in una posa un pochino strafottente.
Durante una mia visita la Borgo (1989) portai questa fotografia e andai a cercare Guido per mostrargliela, fu felicissimo e subito suggerì:
“Dobbiamo fare una cena!”
In un paio di giorni contattammo tutti quelli che riuscimmo a trovare e andammo alla Balestra a celebrare i 40 anni dopo. Ci furono alcuni che vennero da lontano. Nel 2009 ci fu un’altra cena, il numero cominciava a diminuire; questa volta andammo al Fiorentino, erano passati 60 anni, anche questa volta ci furono quelli che vennero da lontano.
Durante una delle mie ultime visite al Borgo incontrai Guido per la Via Maestra, era un po’ mesto, problemi di salute, e mi disse:
“Dobbiamo fare una cena prima che sia troppo tardi, siamo rimasti in pochi.”
E malinconico mi disse i nomi di alcuni dei cari compagni che non avrebbero risposto all’appello.
Mi dispiace moltissimo di non aver fatto una cena in tempo, specialmente i questi giorni terribili del coronavirus, sfollato lontano.
Per finire aggiungo una foto di Guido balestriere, Palio di Sant’Egidio, 1 settembre 2001.
2001 1 settembre, Guido Poggini al Palio di Sant’Egidio.
6 aprile 2020, sfollato a Tuchan in Languedoc.
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Ho finito di scrivere un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus” La storia si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo”
Ora sto cercando di pubblicarlo, cerco un agente letterario e un editore. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei noi nostri eroi, questo è il link al mio
Ma che ci voleva la ricetta del dottore per comprare questa bottiglia di cognac?
cognac medicinale Stock
C’era una volta una distilleria… Infatti a Sansepolcro, lungo il Viale della Stazione, sulla destra vicino al Bertuzzi laterizi, di fronte al collegio “Regina Elena” c’era una distilleria, si chiamava UVA (Utilizzazione Vinacce Alcoliche), proprietà della famiglia Marzani d’Arezzo. Nel 1939 fu venduta alla Stock di Trieste, famosi per la produzione di cognac, ma poi dovettero cambiargli nome e divenne brandy.
Gli Stock ebrei, approfittando di questo loro legame con Sansepolcro, nel 1943 inviarono alcuni congiunti a Sansepolcro presso Pietro Lucernesi, responsabile tecnico della distilleria. Fu così che arrivò Emma Stock, tuttavia per maggiore sicurezza la signora 75enne fu sistemata presso la parrocchia del Trebbio in casa del parroco, Don Duilio Mengozzi che la fece passare per sua madre. Don Mengozzi buon cattolico fu adottato da un’ebrea. I tedeschi avevano insediato al Trebbio il loro comando e non se ne accorsero, neanche quando fu proprio lei, che parlava tedesco, a portare una bottiglia di vino ad un soldato ubriaco venuto a cercarlo in canonica.
Lo stato d’Israele conferì a Don Mengozzi il titolo di “Giusto fra le Nazioni” alla memoria.
Io ricordo bene la distilleria fino agli anni ’50. Il mi’ babbo conosceva bene il direttore, il sig. Magni, e spesso quando si incontravano si fermavano a chiacchierare.
Non so cosa facessero in questa distilleria, so che raccoglievano il mosto da tutte le zone limitrofe. Infatti passandoci vicino, si sentiva un forte ed acre odore di mosto; mi domando se i vicini si lamentassero, ma poi ripesandoci a quei tempi, parlo del dopoguerra, non c’erano molti vicini da quelle parti ma solo campi. Forse distillavano alcool ad alta gradazione per poi riutilizzarlo per fare liquori, di certo veniva tutto spedito a Trieste.
Parliamo della famosa bottiglia, un vero reperto archeologico, di certo partita da Trieste, che miracolosamente è sopravvissuta per almeno 75 anni. Tanto tempo fa il sig. Magni regalò a Nello questa bottiglia di cognac medicinale quando era già vecchia; ho controllato quest’oggi, Nello non l’ha aperta penso che sia meglio che non lo faccia, dopo tutti questi anni la prospettiva che sia ancora buona è molto debole.
Il sigillo con la croce di Savoia conferma che la bottiglia è precedente al 1946. Il prodotto viene definito “cognac”. Poi i tempi son cambiati, la guerra contro la Francia è stata dimenticata e gli accordi internazionali per le denominazioni d’origine controllata sono stati implementati e in Italia non si producono più cognac o champagne. Il cognac diventa brandy, infatti così me lo ricordo: brandy Stock. In quella etichetta a mo’ di scudo sul collo della bottiglia si leggono quattro lettere misteriose, sembrano una sigla massonica, VSOP Very Superior Old Pale, che indica un invecchiamento nel barile superiore ai quattro anni. Poi ci sono quelli che danno a questo acronimo un significato differente, con tante buone intenzioni verso il prossimo, Versez Sans Oublier Personne. Ma poi perché lo chiamavano medicinale? Forse per dargli uno giustificativo, come per dire: “ma l’ha ordinato il dottore!”
E con questo finisco, ringrazio Nello per aver salvato la bottiglia che mi ha permesso di fare un viaggio nel tempo, purtroppo ‘sta sera non ho nessun brandy Stock per consolare il mio sfollamento, mi rifarò con un whisky.
Salute a tutti cari amici, e Forza e Coraggio, sempre!
2 aprile 2020
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres.
ftbraganti@verizon.net
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Sansepolcro 1 aprile 2018, porta Fiorentina vista dalla Via Maestra. entro le mura.
A suo tempo abbiamo calorosamente celebrato gli eroici arditi che fecero l’impresa, e son passati due anni da quel memorabile primo aprile. Mi reputo fortunato, infatti io, che abito lontano e che in genere vengo al Borgo solo un paio di settimane all’anno, mi ritrovai a passare per caso proprio davanti Porta Fiorentina, era la domenica mattina di Pasqua.
Si, io ho visto la porta, maestosa, in tutta la sua effimera gloria. Peccato!
Sapete il resto della storia e non c’è bisogno che ve l’ardica.
Dopo tante foto scattate dall’esterno entrai e scattai questa dall’interno. Oggi l’ho rivista e mi ha fatto pensare. Proprio in questi giorni di isolamento ho provato differenti emozioni, la prima è che tutto mi pare così lontano, come se due anni fossero un secolo. Tutto è nuovo e cerchiamo di imparare, quando poi non possiamo far altro che cercare di sopravvivere.
Vi scrivo da sfollato, son lontano a Tuchan, per l’esattezza a 995 km dal Borgo. In questo momento vedo la luce d’un pallido sole illuminare le montagne rocciose di rimpettaio alla mia casa, dall’altro lato della valle nella Corbieres, terra dei corvi come la chiamarono i Romani più di 2000 anni fa. I Romani erano gran girelloni.
Le porte chiuse servono per proteggerci dai nemici all’esterno, ma anche per impedire a quelli che sono dentro a sortire. In queste ultime settimane ci siamo auto imprigionati per difenderci. Vediamo la porta, tutte le porte, dal di dentro.
Verrà il giorno, e siamo tutti in fremente attesa e pieni di speranze che sia in un prossimo futuro, riapriremo quella porta. Correremo felici cantando a squarciagola o cauti ci guarderemo da ogni lato prima di fare il primo timido passo?
E cosa ritroveremo fuori della porta? Questa è l’incognita.
Noi stessi saremo differenti e non sappiamo in qual modo e di quanto. Anche i più semplici rapporti umani, sociali, saranno cauti, circospetti; smetteremo di stringerci la mano? Forse ci saluteremo come i giapponesi con un semplice leggero inchino? O forse come gli indiani, le mani a mo’ di preghiera e un semplice ”namaste”.
In uno dei suoi primi lavori teatrali Bertold Brecht narra la storia d’un soldato che dopo 4 anni ritorna dalla guerra; trova Berlino (1918) intatta, nessun segno del conflitto, nessuna bomba è caduta sulla città, le trincee erano lontane. In quella pace illusoria crede di ritrovare tutto come prima, come il giorno che è partito. La sua è solo un’illusione, tutto è cambiato e non c’è più posto per lui.
Apriremo quella porta, ma quando? e usciremo ma non tutti e poi cosa troveremo?
Voglio sperare che saremo più realistici del soldato e saremo pronti a superare tutto l’imprevisto, ce l’anno fatta i nostri genitori dopo la guerra, ce l’anno fatto i nostri nonni dopo quell’altra.
Non sarà facile, ma ce la faremo. Forza e Coraggio, sempre uniti.
1 aprile 2020
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres.
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Questo è un breve filmato dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Forse ci sono stati dei casi nella storia di Sansepolcro in cui le Fiere di Mezzaquaresima furono cancellate. Io non ne ho memoria, neanche nel 1944, il fronte era ancora lontano.
Furono cancellate per la peste del 1348? Forse.
Le Fiere dei Fichi Secchi, come ancora le chiamava il mi’ nonno Barbino, sono antiche, molto antiche. Ricordo che il nostro professore di storia Ugolini, avvocato e sindaco, ci diceva che forse la ragione della fondazione di Sansepolcro era dovuta proprio alle fiere; il paese era nato ad un crocevia di commercio. I romagnoli venivano a vendere i fichi secchi che acquisivano dai mercanti arabi. Ecco perché dall’altra parte dell’Appennino c’è Mercato Saraceno.
Non voglio aggiungere ulteriori note di tristezza e di paura alla preoccupazione generale, ce n’è già abbastanza, anche qui a Tuchan dans le Corbieres, dans la France profonde dove sono sfollato.
Pascale ed io siamo ben forniti, pasta, biscotti, fagioli, ceci, cuscus, tonno, sardine, molti surgelati ecc. Non mancano il whisky e il vino; la Cave de Mont Tauch, è a meno di cento metri, potrei ordinare un ettolitro di Fitou (rosso) senza problemi.
E non preoccupatevi, la nostra scorta di carta igienica dovrebbe bastare per un bel po’ di tempo e poi abbiamo il bidet.
Spesso si dice che immancabilmente per le Fiere piove, ecco questa mia foto è la prova del contrario, quelle del 2009 furono assolate.
Questa la fontana in piazza dove misi di nascosto i pesci rossi, non fu una buona idea, specie per i pesci.
Ecco il banco dei fichi secchi, il venditore era un romagnolo, ma non credo che si fosse rifornito dai pirati saraceni. A questo punto il nostro pensiero va alla memoria del caro Gilberto Gilberti a noi noto come Mangiamesse, lui era il vero re dei fichi secchi.
banco dei fichi secchi
Questi sono vari M’arcordo… sulle Fiere di Mezzaquaresima.
Fausto Braganti, sfollato a Tuchan nelle Corbieres, 27 marzo 2020
ftbraganti@verizon.net
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Dottor Bruno Garardi (Sansepolcro, aprile 2019, foto di Pascale Queval)
Solo alcuni giorni fa ho pubblicato una fotografia dei vecchi banchi della scuola elementare Edmondo De Amicis, che noi tutti ancora chiamiamo Santa Chiara. Quell’immagine ha suscitato in tanti molti ricordi, considerando l’alto numero di testimonianze e interventi che ho ricevuto. Nello stesso articolo ho parlato del compagno di banco, l’amico importante con cui avresti poi passato tante ore, l’amico con cui ti confidavi, l’amico di fiducia su cui potevi contare quando avevi bisogno, e anche scopiazzare.
Bruno, poi meglio conosciuto come Dottor Bruno Galardi, è stato il mio compagno di banco cominciando dalla prima media per finire nella quinta liceo. Naturalmente l’amicizia si era ancor più consolidata nel tempo e anche fuori della classe. I Galardi in estate si trasferivano da via della Castellina alla villa del Poggio della Fame in collina e quasi ogni sera andavo in Vespa a trovare Bruno. La vista della Val Tiberina era spettacolare. Ricordo i campi pieni di lucciole, che spettacolo! Anche se possiamo definirla una triste coincidenze, ambedue ripetemmo la seconda liceo, così non ci separammo, insieme subimmo l’onta d’esser ripetenti.
Oggi ho appreso la triste notizia: Bruno è morto nel sonno ieri notte, ho perduto il mio compagno di banco, sono triste, molto triste.
Questa foto è dell’aprile scorso quando ero in visita a Sansepolcro.
Con lui se ne va un altro pezzetto di Borgo, come non mi stanco di dire il Borgo non è fatto di chiese e di affreschi e di mura e vecchi palazzi, per me il Borgo è la sua gente con le sue tradizioni e le sue storie belle e brutte, con le sue virtù e anche i suoi difetti.
Marblehead, 21 dicembre 2019
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.
Pochi giorni fa un’amica ha pubblicato su Facebook, in uno dei siti di Sansepolcro, questa foto dei vecchi banchi della scuola elementare Edmondo De Amicis, di solito chiamata Santa Chiara, nome del vecchio convento che fu chiuso dopo l’Unità d’Italia. Mi ha poi detto che li ha ritrovati in un corridoio, di certo non son più usati. Mancano i calamai di ceramica bianca, ai miei tempi non erano ancora arrivate le penne a sfera, le biro. Ogni tanto compariva la bidella con uno strano fiasco col beccuccio pieno d’inchiostro, faceva il giro della classe riempiendo i calamai.
Dato che son prono ad arcordamme questi banchi hanno subito scatenato una catena di ricordi; son certo che non sarò stato il solo ad aver provato qualche inaspettata emozione.
Io ho passato 5 anni a Santa Chiara, dal 1947 al 1952; per 5 anni mi son seduto su quel legno duro. Il primo giorno di scuola era importantissimo, quello era il giorno in cui trovavi il tuo compagno di banco, quello che ti sarebbe stato acconto per i successivi nove mesi.
Son contento che non siano finiti in un camino.
Marblehead 18 dicembre 2019
Fausto Braganti
ftbraganti@verizon.net
Come molti di voi sanno ho scritto un romanzo storico-erotico “L’Adele e Thaddeus”
La storia di passione si sviluppa in nove giorni quando Garibaldi con la sua legione passò per la Val Tiberina, fine luglio 1849. “In tempo di guerra non si perde tempo” Da tempo sto invano cercando di pubblicarlo senza successo. Se siete curiosi di leggere le prime due giornate delle avventure dei nostri eroi, questo è il link al mio blog:
Ho pubblicato il libro “M’Arcordo…Storie Borghesi” che può essere acquistato nelle librerie di Sansepolcro. Regalate il libro M’Arcordo… per Natale, sarà certo una dono gradito per i tutti i Borghesi vicini e lontani.
Questo è un breve filmato di Pascale dell’inizio della presentazione del libro avvenuto nella sala consiliare (quella che io chiamo “sala del biliardo”) del Comune di Sansepolcro, 25 aprile 2015.